giovedì 18 ottobre 2007

Primo round di negoziati, in Costa Rica, tra Centro America ed Unione Europea

Via ufficiale in Costa Rica ai negoziati per l'Acuerdo de Asociación (Ada) tra l'Unione Europea e i Paesi dell'America Centrale. Quello in programma dal 22 al 26 ottobre è il primo di dieci round negoziali: i prossimi, già pianificati, si svolgeranno a dicembre 2007, febbraio, aprile e maggio 2008. L'Ada dovrebbe essere pronto per il 2010.
Luis Guillermo Perez, segretario generale di Cifca (Copenhagen Initiative for Central America, una rete di Ong europee nata per realizzare un lavoro di lobby sulle istituzioni comunitarie in merito alla relazioni tra l'Ue e il Centro America e il Messico), ha analizzato il documento che regola i negoziati, sottoscritto dalle parti a fine luglio, evidenziando gli svantaggi per i Paesi del Centro America rispetto a quelli della Comunità andina di nazioni (Can), che pure -a metà settembre- hanno avviato i negoziati per un Acuerdo de Asociación con il Centro America.
"Si nota -spiega Luis Guillermo in un documento confidenziale- la presenza dei governi di Bolivia ed Ecuador all'interno della Can".
Una prima differenza riguarda la lingua dei negoziati: nel caso della Can, i testi dei negoziati saranno nelle due lignue (inglese e spagnolo) e durante le riunioni ci sarà una traduzione simultanea; per quanto riguarda invece il Centro America, "negotiating documents shall be drafted in English".
"Quella della lingue è una questione rilevante -nota Perez- perché i governi dovrebbero poter consultare la propria società civile, e se i testi sono in inglese solo una piccola parte potrà avere un accesso adeguato alle informazioni e tentare di incidere sul negoziato. In più, non è detto che i negoziatori debbano essere per forza bilingue. I governi del Centro America dovrebbero battersi per ottenere le stesse condizioni accordate alla Comunità andina di nazioni".
Un secondo aspetto rilevante riguarda il riconoscimento delle asimmetrie esistenti tra le parti. Per quanto riguarda la Can, l'Ue accorda "un trattamento speciale e differenziato ai Paesi membri della Comunità, in particolare a Bolivia ed Ecuador, in relazione all'America Centrale non c'è nessun riferimento a questo riconoscimento".
Per ultimo, il documento firmato dall'Unione Europea e dai Paesi della Comunità andina di nazioni crea 14 sottogruppi negoziali nell'ambito del Gruppo sulla liberalizzazione del commercio. Con l'America Centrale saranno solo 12. Salta proprio quello che si occuperà di "asimmetrie e trattamento speciale e differenziato".

martedì 16 ottobre 2007

I colori del mais su Le Monde Diplomatique



Fuori dal Nicaragua Union Fenosa

Una sessione del Tribunale permanente dei popoli, riunito a Managua il 12 e 13 ottobre, ha condannato Unión Fenosa. L'azienda spagnola, che nel 1999 ha acquisito per 115 milioni di dollari il controllo del servizio di distribuzione dell'energia elettrica in Nicaragua, è responsabile di continui black-out, aumento delle tariffe, mancati investimenti.
L'udienza si è svolta nell'anniversario della Conquista: a oltre 500 anni dal 1492, la privatizzazione dei servizi pubblici locali è la nuova forma di colonizzazione scelta dai Paesi europei per l'America Centrale.
Nell'emettere la loro sentenza i 5 giurati del Tribunale hanno invitato il governo ad annullare il contratto con Unión Fenosa e il memorandum sottoscritto dal presidente nicaraguensa Ortega a luglio 2007 e ad espellere la multinazionale dal Nicaragua e dagli altri Paesi della regione (Unión Fenosa è "forte" anche in Guatemala e in Messico) per "irresponsabilità e violazione dei diritti umani".
Le decisioni del Tribunale permanente dei popoli (Tpp) non sono legalmente vincolanti, ma rappresentano una condanna morale e politica rispetto all'operato dell'impresa. "In questo caso, però, -spiega Claudia Torelli, dell'Alianza Social Continental, una delle realtà che promuovono il Tpp- Unión Fenosa ci ha fatto un grande favore, perché nei giorni prima e dopo la sessione del Tribunale permanente ha dichiarato ai mezzi di comunicazione di non riconoscere la nostra legittimità, e così facendo ci ha posto ancor di più al centro dell'attenzione".
Negli ultimi cinque anni per i consumatori a basso reddito le tariffe di Disnorte e Dissur (le due aziende di distribuzione dell'elettricità, controllate dalla multinazionale) sono raddoppiate.
A Managua i consumatori denunciano tagli improvvisi dell’energia elettrica di 4, 6 o anche 12 ore consecutive
L’impresa non ha realizzato gli investimenti sottoscritti nel contratto di concessione, come evidenziato anche da periodici controlli effettuati dall’Ine (l’Ente regolatore nazionale per l'energia). Lo scorso anno una quarantina di organizzazioni della società civile nicaraguense, spagnola ed europea hanno promosso la campagna “La ir-responsabilità sociale di Union Penosa, il Nicaragua nascosto”.
Chiedono la ri-nazionalizzazione della distribuzione dell'energia elettrica e la fine di un modello di approvvigionamento energetico basato sulla costruzione di mega-centrali idroelettriche.
Durante la sessione del Tribunale permanente dei popoli sono stati discussi anche i casi Unión Fenosa in Guatemala, Aguas de San Pedro, la privatizzazione del servizio idrico da parte dell'Acea di Roma, in Honduras e l'azienda di tonno spagnola Calvo in El Salvador.

martedì 9 ottobre 2007

Cafta, la vittoria del “Sì” in Costa Rica. Cronaca di una frode annunciata

Anche il Costa Rica ha ratificato il Cafta, il Trattato di libero commercio con gli Stati Uniti d'America già in vigore nel resto del Centro America.
Nel referendum popolare di domenica scorso il "Sì" ha avuto la meglio, seppur di poco: 51,69 per cento contro 48,31. Sono andati a votare sei cittadini su dieci.
Subito dopo la divulgazione dei risultati, ieri (lunedì, ndr), i movimenti popolari del fronte del "No" hanno denunciato frodi elettorali, accusando il Tribunal Superior Electoral di essere "complice diretto del regime dei fratelli Arias (presidente della Repubblica e Primo ministro, ndr) non avendo fatto rispettare la tregua elettorale".
Il Movimiento Nacional Patriótico non ha riconosciuto il risultato.

Le denunce di irregolarità nel processo di votazione sono arrivate da numerose città in tutto il Paese. Alcune foto mostrano guardie di sicurezza armate contrattata dal fronte del "Sì" per intimidire gli elettori che si dirigevano verso i centri di votazione; il vice sindaco della città di Colima, Federico de Faríá, denunciò che nella notte tra sabato e domenica ignoti avevano lanciato pietre contro la sede del comitato per il "No"; una studentessa dell'Università del Costa Rica, Noelia Murillo, è stata aggredita da simpatizzanti del "Sì" mentre lavorava a un punto informativo organizzato dalla Università.

Ho trascorso la giornata di domenica ascoltando in streaming la radio La Señal del Corazon, che ha seguito in diretta tutto il processo elettorale con corrispondenti in tutti i dipartimenti. Molti denunciavano l'assenza di mezzi pubblici, comprati (e tenuti fermi) dal fronte del "Sì" per impedire a una parte della popolazione -generalmente i più poveri, che non hanno l'auto- di raggiungere le urne; altri descrivevano lo scambio delle matite al momento del voto (ce n'erano due, di colori diversi: una, rossa, doveva essere usata per accreditare gli elettori; l'altra, blu, al momento del voto).

La denuncia della frode è stata diffusa anche dall'Alianza social continental -piattaforma di organizzazioni e movimiento sociali progressisti delle Americhe, nato nel 1999-. In un comunicato che ha per oggetto “Crónica de un fraude anunciado”, l'Asc denuncia il Tribunale supremo elettorale per aver negato ai delegati dell'Alianza -28 persone provenienti da numerosi Paesi del Sud America e dell'America Centrale- di partecipare al voto come osservatori riconosciuti.
Le autorità competenti -denuncia l'Alianza social continental- non hanno garantito "imparzialità, trasparenza e neutralità", e perciò il risultato del referendum non può essere riconosciuto.
In particolare, la delegazione ha potuto constatare la violazione del silenzio elettorale nei giorni che hanno preceduto il referendum ("occupando i mezzi di comunicazione di massa con propagando a favore del 'Sì', e con la partecipazione del presidente Oscar Arias a numerosi atti pubblici").
L'Asc denuncia anche l'ingerenza del governo degli Stati Uniti d'America: il presidente Bush ha minacciato di eleminare l'Iniciativa de la Cuenca Caribe (che permette al Costa Rica di esportare merci negli Usa senza pagare dazi) mentre il Segretario generale dell'Organizzazione degli Stati americani, José Miguel Insulza, arrivando in Costa Rica come osservatore invitato ha dichierato pubblicamente la porpria "simpatia" per il Cafta (Central America Free Trade Agreement).

Cercando di vedere il bicchiere mezzo pieno, quasi la metà della popolazione del Costa Rica ha detto “No” al Trattato di libero commercio. E in 3 dei 7 dipartimenti, il “No” ha vinto.
Ciò obbliga il Governo a stabilire un dialogo con l'opposizione parlamentare per mettere in pratica il Cafta (entro marzo 2008, ad esempio, dovrà essere approvato dal Parlamento il pacchetto delle leggi complementari al Trattato, la cosiddetta “agenda d'implementazione”, ancor più liberista -se possibile- dello stesso Cafta).

venerdì 5 ottobre 2007

Costa Rica. A due giorni dal referendum, barcolla il fronte del "No"

In vista del referendum popolare sul Cafta del 7 ottobre, in Costa Rica si continua a discutere del memorandum scritto dal vicepresidente della Repubblica e che delineava una strategia per il fronte del “No”.
Secondo Edgar Morales, segretario aggiunto dell'Anep (Asociación Nacional de Empleados Públicos y Privados), "la rinuncia del vicepresidente della Repubblica, il signor Kevin Casas, e il ritiro del deputato (nonché cugino del Presidente della Repubblica) Fernando Sánchez, non risolve, in assoluto, la questione relativa al famoso memorandum per la campagna per il 'Sì' al Trattato di libero commercio. In molte imprese, nazionali e internazionali, si cerca ancora di corrompere la coscienza dei lavoratori, intimidendoli e anche comprandoli, con il sostegno del ministro del Lavoro e della Sicurezza sociale e del Tribunale supremo elettorale. Questo viola il Codice del lavoro, la Legge elettorale e le norme internazionali per la tutela del lavoro e della costituzione. Il presidente della Repubblica e già premio Nobel per la pace, Oscar Arias Sánchez, attraversa tutto il Paese offrendo buoni spesa, titoli di proprietà sulla terra, borsa di studio, case, facendo pressione e comprando la gente più umile affinché voti a favore del Trattato di libero commercio”.

giovedì 27 settembre 2007

Costa Rica, la Chiesa cattolica per il "No" al referendum

"È stato chiesto alla nostra Chiesa di manifestare la propria neutralità rispetto a questa importante contesa, il referendum per il Trattato di libero commercio tra Costa Rica e Stati Uniti d'America. Ciò significherebbe, tuttavia, venir meno al nostro impegno: la Chiesa deve sempre essere al lato della verità, della giustizia e del benessere sociale".
Monsignor Ignacio Trejos, vescovo emerito di San Isidro de El General, ha le idee chiare rispetto al Cafta (Central America Free Trade Agreement), e con lui altri 93 sacerdoti cattolici che ieri hanno preso posizione contro il Trattato: "È importante che al referendum vinca il No". In vista del prossimo 7 ottobre, hanno reso pubblico un documento di otto pagine, intitolato “Un'analisi etica del Tlc”.
Tra i punti critici del Cafta, i sacerdoti segnalano che il Trattato "non rispetta la vita umana, obbligando il Paese ad approvare il Trattato di Budapest, che rende possibile e facilita la vendita di organi e di embrioni umani; brevetta le sementi e altre risorse necessarie per la vita, obbligando ad approvare l'accordo UPOV 91 sui derivati vegetali che permette di privatizzare e mettere sul mercato forme di vita".

mercoledì 19 settembre 2007

Centro America: investimenti in caduta libera con il Cafta

La liberalizzazione degli investimenti è uno dei pezzi chiave nel puzzle di ogni trattato di libero commercio (Tlc). E l'aumento degli investimenti diretti esteri, la capacità di attrarre maggiori risorse per lo sviluppo delle attività produttive, è segnalato tra gli effetti positivi di ogni Tlc (quasi salvifici per le piccole economie dei Paesi del Sud del mondo).
Stride con queste affermazioni il dato relativo al Centro America. In piena era Cafta (Central America Free Trade Agreement), nei primi sei mesi del 2007, gli investimenti esteri sono caduti in El Salvador (meno 180 milioni di dollari), Honduras (meno 182 milioni di dollari) e Repubblica Domenicana (meno 23,4 milioni di dollari). I dati sono contenuti in un rapporto presentato il 13 settembre a San José -capitale del Costa Rica- dalla Rete regionale di monitoraggio sugli impatti del Trattato di libero commercio sul Centro America formato, tra gli altri, da Confederación Guatemalteca de Cooperativas, Centro de Estudios en Inversión y Comercio de El Salvador, Coalición Hondureña de Acción Ciudadana, Movimiento Social Nicaraguense e Comisión Nacional de Enlace de Costa Rica.
Dallo stesso rapporto emerge l'aumento delle importazioni provenienti dagli Stati Uniti d'America. Più 11,7 per cento in El Salvador; più 26 per cento in Honduras; più 27,5 per cento in Nicaragua; più 13,5 per cento in Repubblica Domenicana.
Il Costa Rica deciderà il 7 ottobre, con un referendum popolare, se ratificare o meno il Cafta.

domenica 16 settembre 2007

In Costa Rica un referendum popolare per dir "No" al Trattato di libero commercio (4)

Traballa il fronte del "Sì" in Costa Rica, in vista del referendum popolare sul Cafta (Central America Free Trade Agreement) in programma il prossimo 7 ottobre.
Il vicepresidente della Repubblica e ministro della Pianificazione, Kevin Casas (nella foto), si è dimesso (temporaneamente) da tutti i suoi incarichi ed è sotto inchiesta da parte del Tribunale supremo elettorale (Tse). Casas ha invitato il presidente della Repubblica, Oscar Arias Sanchez, ex premio Nobel per la Pace, a "formare un comitato strategico per lanciare la campagna in favore del 'Sì' al Trattato di libero commercio".
Nel lungo memorandum, di sei pagine, datato 29 luglio 2007, il vicepresidente chiede ad Arias Sanchez di sospendere le sedute del Parlamento per permettere ai propri deputati di andare in giro per le comunità a far campagna, "dato che in questo momento la vittoria nel referendum è più importante dell'agenda legislativa". E, per promuovere il fronte del "Sì" a livello locale, lo invita a minacciare tutti i sindaci del partito di governo che "se non 'vincono' il referendum del 7 ottobre nel proprio canton, non vedranno un soldo dal governo nei prossimi 3 anni".
Della strategia fanno parte anche "la pubblicazione di materiale di educazione popolare favorevole al Trattato di libero commercio" e "organizzare una mobilitazione di massa". Quello che il fronte del "No", forse del sostegno popolare, sta facendo da mesi.
Casas, poi, suggerisce anche di puntare sullo spauracchio dell'ingerenza straniera. In particolare, sottolineando la vicinanza del fronte del "No" a "Fidel, Chavez e Ortega".
L'indagine amministrativa in corso proverà l'eventuale complicità del capo dello Stato.

Stop al progetto idroelettrico La Parota nello Stato del Guerrero

Una prima vittoria per il movimento che si oppone alla costruzione della diga La Parota, in Guerrero (nel Sud-est messicano). Un giudice federale, Livia Larumbe Radilla, ha imposto alla Comisión Federal de Electricidad (Cfe) la sospensione immediata di tutti i lavori per la centrale idroelettrica (che inonderebbe una superficie di 17 mila 300 ettari, costringendo forzosamente 25 mila persone ad emigrare). A metà agosto i contadini Víctor García Robles, Clemente Reyes Bailón, Petronila Valente Calixto, Gregorio García Vázquez, Ricardo García Valente, Juventino García Vázquez e Ángel Valente Vázquez hanno richiesto la protezione della giustizia federale contro la costruzione della diga. Secondo la popolazione locale, riunita nel Consejo de Ejidos y Comunidades Opositores a La Parota (Cecop), la centrale idroelettrica pregiudicherebbe la vita nell'area e la salvaguardia del fiume Papagayo. Il giudice ha accolto la loro istanza, stabilendo che fino a quando non verrà pronunciato il giudizio "le cose siano mantenute nello stato in cui si trovano e le autorità si astengano dall'autorizzare lo sfruttamento e l'utilizzo delle acque nazionali del fiume Papagayo per il progetto idroelettrico La Parota, per i danni irreversibili che causerebbe ai denuncianti che vivono nel municipio di Cacahuatepec”. In sostanza, se i lavori iniziassero, anche un eventuale giudizio a favore degli oppositori sarebbe inutile, in quanto l'ambiente risulterebbe in ogni caso gravemente compromesso. Non è una vittoria definitiva, quindi. Solo uno stop in attesa del giudizio.
La concessione per la costruzione delle diga è del 2005. La Parota ha già fatto tre vittime (tra gli oppositori). Recentemente, anche Amnesty International ha dedicato un rapporto al caso (Human Rights at Risk in La Parota Dam Project), invitando a firmare un appello.
Contro il progetto si sono pronunciati anche due rappresentanti delle Nazioni Unite, che nelle ultime settimane hanno visitato la regione dello Stato del Guerrero.
Secondo Rodolfo Stavenhagen, relatore speciale per i Popoli indigeni, uno Stato membro “non può ignorare i diritti della popolazione che subisce gli effetti negativi di un megaprogetto. E, in questo caso, non averlo fatto sin dall'inizio ha portato ai movimenti e ai conflitti che si vivono rispetto al progetto de La Parota”. “Da un punto di vista tecnico -ha aggiunto- La Parota non appare nemmeno tanto importante. Non risponde a un'esigenza per il Paese. La capacità di generare energia elettrica installata in Messico, infatti, eccede il fabbisogno del Paese”. Miloon Kothari, relatore speciale Onu per il Diritto all'abitare, ha invitato il governo messicano a considerare la possibilità di costruire centrali più piccole, che possano essere gestite dalla stesse comunità. “Viviamo -ha considerato- in una situazione di apartheid sociale, con modellli di sviluppo che rendono più profondi i conflitti”.

martedì 11 settembre 2007

La polemica su "L'intruso, il reality, l'isola e il mattone"

Il mio articolo L'intruso, il reality, l'isola e il mattone, pubblicato il 4 settembre da Il Manifesto, è stato ripreso il giorno dopo dal Corriere della Sera. Allora Giorgio Gori, amministratore delegato di Magnolia, la società che produce il reality "L'isola dei famosi", ha replicato scrivendo una lunga lettera a Il Manifesto, che è stata pubblicata domenica 9 settembre insieme a una mia controreplica. Le pubblico sul blog.




Sull'«Isola» nessun segreto
Il manifesto (terra terra del 4/9) ha dedicato all'«Isola dei Famosi» - e a ciò che si nasconderebbe dietro al programma di Raidue - un articolo di Luca Martinelli, poi ripreso anche da altri quotidiani. Sui diversi temi sollevati, collegati in realtà solo dal palese intento di mettere in cattiva luce la nostra produzione, desidero fornire alcune informazioni. Scrive il manifesto che in Honduras verrà realizzato un mega-complesso turistico a cura della Astaldi, e che sarebbe questa «il concorrente nascosto dell'Isola dei Famosi 2007». Non sarebbe cioè un caso se, per il secondo anno consecutivo, i «famosi» e l'«Isola» metteranno per tre mesi le spiagge honduregne in vetrina davanti a milioni di telespettatori italiani. Va da sé che nulla sappiamo dell'iniziativa della Astaldi e che l'insinuazione risulta anzi diffamatoria. Dalle ricerche che abbiamo condotto emerge che la questione dei paventati insediamenti si trascina da anni e i locali Garifuna contestano la costruzione di qualsiasi insediamento turistico. Vari sono stati i tentativi, probabilmente l'ultimo è questo della Astaldi. Ma tutto questo non ha nulla a che fare con Cayo Cochinos e il set del reality. La zona si trova infatti nel municipio di Tela, a circa 150 km da dove ha base la troupe, e a oltre tre ore di navigazione dal set del reality. Sostiene ancora l'artitolo che l'«Isola» nasconda altri segreti, come il fatto che le isolette del Cayo, sedi del reality, siano in vendita. A quanto ci è dato di sapere, solo l'isola di Cayo Culebra era in vendita, recentemente ceduta a un finanziere messicano. Ma l'accusa principale consiste nel fatto che il format prodotto da Magnolia «sconvolge gli equilibri su cui si regge la vita delle popolazioni locali». Ora, con i Garifuna i rapporti sono di assoluta collaborazione. E' in atto uno scontro, ma questo riguarda i Garifuna e le istituzioni honduregne, soprattutto riguardo ad alcuni presunti abusi avvenuti sempre nel municipio di Tela e riguardante la comunità di Triumfo de la Cruz , dove alcuni anni fa è stata bloccata la costruzione di alcune ville di lusso (progetto Mar Bella). Niente a che vedere quindi con le comunità Garifuna di Sambo Creek e Chachahuate, coinvolte nella realizzazione del reality. Va poi precisato che l'unica limitazione concordata lo scorso anno con la comunità Garifuna del Cayo consisteva nella richiesta di non avvicinarsi alla sola spiaggia dei concorrenti quando questi erano presenti. Questa limitazione è stata ripagata in due modi: in denaro (per mancato guadagno), e in servizi messi a disposizione della comunità (costruzione di una struttura sull'isola di Chachahuate, non utilizzata per il programma, disponibilità del medico della produzione per visite e interventi, bonifica e smaltimento di tutto l'Eternit presente sull'isola di Chachahuate, costruzione di un rifugio per i pescatori con 8 posti letto e 2 bagni). Questo nel 2006. Per quest'anno l'accordo è analogo. Verrà però versata una cifra doppia oltre ad altri interventi di finitura. Durante l'intero periodo di presenza dello staff, la comunità potrà usufruire gratuitamente delle barche della produzione per spostarsi. Si tenga anche conto che per la realizzazione del reality lavorano 15 rappresentanti della comunità.
Giorgio Gori, Ad Magnolia

Una prima considerazione è che il focus dell'articolo era il megaprogetto turistico in costruzione ad opera di Astaldi, tanto da segnalare la campagna di pressione avviata nei confronti dell'azienda italiana dal collettivo Italia-Centroamerica. Se non è provata alcuna relazione tra Astaldi e Magnolia, è vero però che entrambe le iniziative si svolgono all'interno di un processo di sviluppo turistico disegnato dal governo honduregno e che non tiene conto delle reali esigenze delle popolazioni locali. Questo può essere confermato dal fatto che per tutta la durata dell'edizione 2006 dell'«Isola», sul sito del consolato honduregno di Milano campeggiava il logo del programma con link al sito e che l'ambascitore dell'Honduras a Roma da noi intervistato ci ha confermato di ritenere il format televisivo un frande strumento di promozione turistica del paese. Per quanto riguarda invece le violazioni ai diritti delle popolazioni locali ci sono le denunce da parte di organizzazioni della società civile locale.
l. m.

giovedì 6 settembre 2007

In Costa Rica un referendum popolare per dire "No" al Trattato di libero commercio (3)

Pubblico sul blog la versione integrale dell'intervista sul referendum in Costa Rica con Gerardo Cerdas Vega, sociologo che coordina per la regione centro americana il “Grito de los Excluidos/as”. Leggermente tagliata è uscita ieri su Liberazione. (l.m.)

1) Il Costa Rica è l'unico Paese dell'America Centrale a non aver ancora ratificato il Cafta. Como avete ottenuto questo risultato?
Nel gennaio del 2003, quando iniziarono i negoziati del Cafta, ci trovammo in parte già organizzati: l'anno precedente ci eravamo riuniti e avevamo prodotto materiale informativo sull'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e l'Area di libero commercio delle Americhe (Alca), perché il Costa Rica partecipava ai due negoziati.
Ci avvicinammo all'Alianza Social Continental e, con loro, iniziammo a documentarci su una tematica complessa come il libero commercio.
Da questo nucleo è nato il movimento cittadino anti-Cafta, che oggi si è esteso a tutta la società ed è presente in modo trasversale in tutte le classi sociali. In 5 anni abbiamo costruito la campagna casa per casa, quartiere per quartiere, sindacato per sindacato, scuola dopo scuola… quello che si chiama “un lavoro da formiche”, ossia un lavoro lento e apparentemente insignificante ma con un enorme potere sociale.
Inoltre, già nel 2003 organizzammo le prime due mobilitazioni contro il Cafta, a gennaio e poi a febbraio. Il movimento che vediamo oggi deve molto all'aver colto per tempo il tema e alla capacità di raccogliere progressivamente le organizzazioni popolari del Paese, le vere pioniere di questa lotta che oggi coinvolge politici, partiti, organizzazioni non governative, università pubbliche, personalità e moltissimi cittadini e cittadine che, pur non appartenendo a nessuna realtà organizzata, hanno compreso la necessità storica di mobilitarsi.
Un elemento che vorrei mettere in luce è la creatività del movimento per quel che riguarda la produzione di materiali e le forme di espressione, dal tradizionale “volantino” ai video (molti sono su YouTube, ndr), l'uso di internet (ci sono numerosi blog, ndr) e quello del teatro e della musica come strumenti del messaggio politico, la pressione sull'assemblea legislativa e altre istanze governative.

2) Qual è, a tuo avviso, l'aspetto più importante del movimento che si oppone al Trattato di libero commercio?
Senz'altro che, pur non esistendo un coordinamento unico tra queste realtà, c'è un obiettivo comune, e questo unisce molto più che le leadership, che di fatto sono molto diverse. Credo di poter affermare, infatti, che tutto il movimento sociale e popolare è schierato contro il Cafta. E che ciascuna organizzazione è importante come le altre, indipendentemente dalla sua misura, perché ognuna agisce a livelli diversi (da quelle in grado di farsi sentire sui mezzi di comunicazione a quelle che lavorano solo nel proprio quartiere). Da un lato ci sono sindacati importanti come quello dell'Instituto Costarricense de Electricidad e organizzazioni contadine come il Frente Agrario Campesino contra el Tlc, ma l'aspetto più significativo è senz'altro il sorgere di espressioni organizzative nuove, nei quartieri, nei cantoni, tra i giovani.
Sono realtà che rompono gli schemi organizzativi tradizionali, e questo costituisce una ricchezza politica fondamentale per questo movimento, perché lo rende molto flessibile e difficile da cooptare.
Ci sono alcune esperienza importanti di unità, tra i quali la Coordinadora Nacional de Lucha contra el Tlc, i coordinamenti regionali (che funzionano in modo autonomo). Esiste anche un Frente Nacional de Apoyo a la Lucha contra el Tlc, di cui fanno parte personalità accademiche e politiche. E anche alcuni partiti politici, come il Frente Amplio e Acción Ciudadana, hanno svolto un ruolo importante nell'invitare la cittadinanza a opporsi al Cafta. Ma la cosa più rilevante è senza dubbio che la società intera si è mobilitata, e questo fa sì che il “fuoco” della resistenza non siano le organizzazioni, diventate più che altro “vettori” della mobilitazione dal basso.

3) Prima di ratificare il Cafta, l'assemblea legislativa deve approvare 13 progetti di legge, parte inseparabile del Trattato di libero commercio. Che temi riguardano? È vero che alcuni di questi provvedimenti sarebbero incostituzionali?
Alcuni progetti di legge in discussione, la cosiddetta “agenda di implementazione del Cafta”, sono indispensabili affinché il Tlc abbia piena effettività giuridica. I più controversi sono quelli che riguardano il “rafforzamento” dell'Instituto Costarricense de Electricidad (Ice), che a dispetto del nome debilita la più efficiente azienda pubblica del Centro America, per renderla facile preda delle multinazionali (le spagnole Union Fenosa, Iberdrola e Endesa sono già presenti in tutta la regione, ndr), la legge sulla liberalizzazione delle assicurazioni e delle risorse idriche, l'approvazione di un accordo per la protezione dei brevetti sui vegetali (UPOV-91) e l'approvazione del Trattato di Budapest (ancora una misura relativa ai brevetti, ndr).
Per finire, un prestito di 220 milioni di dollari da parte della Banca interamericana di sviluppo (Bid), a cui si aggiungono 135 milioni di dollari di fondi pubblici, per sviluppare progetti come “sostegno alla competitività delle piccole e medie imprese, sviluppo dell'agricoltura e dell'allevamento sostenibili e rafforzamento dell'educazione rurale”, senza che esista alcun progetto concreto.
Un gruppo di lavoro formato da giuristi dell'Università del Costa Rica hanno analizzato il testo del Trattato, segnalando almeno 50 incostituzionalità. Nonostante questo, la Sala Constitucional della Corte suprema di giustizia, al servizio del Governo, ha dichiarato che il Trattato di libero commercio rispetta la Costituzione.

4) A ottobre il popolo del Costa Rica voterà “Sì” o “No” alla ratifica del Trattato. A livello mondiale è la prima volta la decisione riguardo a un accordo commerciale si dibatte in una consultazione popolare. Come siete arrivati a questa proposta?
Il movimento popolare non ha mai cercato il referendum, perché il nostro obiettivo è sempre stato che il testo del Cafta non fosse nemmeno discusso dall'assemblea legislativa.
L'idea di un referendum è stata lanciata lo scorso anno da un gruppo di cittadini guidati da José Miguel Corrales, ex deputato ed ex candidato alla presidenza del Partido de Liberación Nacional (lo stesso del presidente Oscar Arias). Dopo la marcia del 26 febbraio 2007, a cui hanno partecipato 250 mila persone, il Tribunale supremo elettorale accolse la richiesta di convocare una consultazione popolare e autorizzò il gruppo di Corrales a raccogliere le firme del 5 per cento degli elettori, che avrebbero reso effettiva la convocazione del referendum. A quel punto, il governo di Oscar Arias decise invece di convocare il referendum d'accordo con l'assemblea legislativa, presentandosi così come un Governo democratico che “ascolta la voce del popolo”.
È certo però che tutto il processo verso questo referendum è stato pieno di frodi e di arbitrarietà. Ad esempio, è palese che il Governo stia utilizzando i fondi che servono a finanziare i servizi pubblici e progetti sociali per “comprare” le comunità rurali, facendo pressioni perché votino per il “Sì”. La pubblicità stupida e ingannevole diffusa dal fronte governativo attraverso i mezzi di comunicazione confonde i cittadini, ai quali non sono mai offerti argomenti validi contro il “No”. Ricorrono, addirittura, al vecchio metodo maccartista della “minaccia comunista”.
Perciò, anche se è logico che agli occhi della comunità internazionale questo referendum appaia come un momento storico, non dobbiamo perdere di vista le criticità delle condizioni in cui verrà celebrato: il 99,7 per cento della pubblicità sugli organi d'informazione è comprata dal fronte del “Sì” (imprenditori, governo) e appena lo 0,3 per cento dal “No”.
La differenza è abissale, ma il Tribunale elettorale non si è preoccupato di garantire equità nell'accesso ai mezzi di comunicazione, nemmeno a quelli pubblici. Ciò non nega, però, l'importanza fondamentale della consultazione del 7 ottobre, e stiamo facendo tutto il possibile perché il “No” possa battere il “Sì” in maniere evidente.

5) Come vi siete organizzati per sensibilizzare la popolazione sui rischi del Cafta e per far sì che la maggioranza dei costaricani votino “No” al referendum?
Come ho spiegato prima, la nostra è un'organizzazione molto decentrata, basata sull'attivismo “di tutti i giorni”. In questo contesto, le attività educative sono fondamentali, e passano per la produzione e distribuzione (quasi sempre gratuita) di materiali e bandiere o adesivi, le visite alle comunità contadine e indigene, programmi alle radio, radio comunitarie, e attività artistiche.
L'articolazione politica c'è stata soprattutto negli spazi micro-sociali, ed è importante capire questo particolare.
C'è stato, però, anche uno sforzo enorme da parte di alcuni partiti politici rappresentanti nell'assemblea legislativa, come il Partido de Acción Ciudadana, il Partido Accessibilidad Sin Exclusiones e il Frente Amplio), per formare scrutatori e osservatori per il giorno del referendum.
Inoltre, molte organizzazioni stanno sostenendo economicamente la campagna per quanto riguarda i mezzi di trasporto, l'alimentazione e la stampa di materiali, per garantirci almeno di poter realizzare il nostro lavoro nella miglior maniera possibile.

6) Cosa accadrà in caso di vittoria del fronte del “No”? Quale pensi che possa essere la relazione della classe politica e, in particolare, del presidente Arias Sanches? Cosa ti aspetti dagli Stati Uniti d'America?
Se vince il “No”, sarà uno shock per gli Stati Uniti e per tutta la classe politica costaricana. Credo che non se lo aspettino e che siano pronti a commettere frodi elettorali per impedirlo. Nel caso perdessero, c'è la possibilità che non accettino il risultato, e che arrivi la repressione.
È difficile, ma possibile. Ciò che è certo, però, è che il Governo continuerà a far pressioni per la ratifica dell'“agenda d'implementazione”, che sarebbe una sorta di “Cafta senza il Cafta”. Gli Usa, invece, potrebbero imporre sanzioni commerciali, per dare una sorta di “castigo esemplare” e per avvertire gli altri Paesi sui rischi che corre che si oppone alla firma di un Trattato di libero commercio. Nell'ambito di questo castigo, credo potrebbero decidere di trasferire investimenti verso altri Paesi dell'area, come il Nicaragua o l'Honduras, per colpevolizzare la popolazione costaricana di un'eventuale perdita di posti di lavoro.
Lo scenario è difficile da prevedere, ma voglio evidenziare un aspetto essenziale: le contraddizioni del Cafta rivelano una situazione più complessa, profonda e strutturale in termini di critica al neoliberismo. Perciò, che vinca il “Sì” o il “No”, questa contraddizione profonda non si risolverà con questo referendum ma resterà latente come elemento centrale della vita politica del Paese nei prossimi anni.
Se vince il “No”, il nostro prossimo passo dev'essere quello di approfondire la capacità organizzativa e propositiva del popolo.
Il Costa Rica ha bisogno di una profonda trasformazione economica, politica e sociale che equivale a una rifondazione del Paese. Ma la classe politica è corrotta e senza orizzonti, e per questo svende il Paese. Perciò questa rifondazione dev'essere promossa dalla società mobilitata. Ciò che abbiamo oggi è la “voglia di politica”, che anche se non basta da sola a creare questa trasformazione è un seme di iniziative, e forze popolari che nel lungo periodo possono incidere in modo effettivo e positivo nella costruzione del Paese a cui tutti e tutte aspiriamo.

martedì 4 settembre 2007

L'intruso, il reality, l'isola e il mattone

C’è un concorrente nascosto all’edizione 2007 dell’“Isola dei famosi”.
È Astaldi, la seconda società di costruzioni in Italia. A luglio ha firmato il contratto per iniziare i lavori del megaprogetto turistico “Bahia de Tela” (vedi terraterra del 23 aprile 2005). Il complesso verrà realizzato sulla costa caraibica dell’Honduras, a pochi chilometri dalle isole dei Cayos Cochinos, dove il 20 settembre inizia la nuova serie del reality show.
La regione, però, è abitata da un’etnia indigena afrodiscendente, i garifuna, che vivono di pesca in comunità lungo la costa e temono l’impatto sociale e ambientale del turismo di massa.
Oggi la Laguna de los Micos è un paradiso di mangrovie, una striscia vergine di spiaggia e vegetazione di oltre 3 km. Il progetto Bahia de Tela prevede quattro hotel di lusso, 256 ville, un campo di golf, un club ippico e un centro commerciale -su una superficie complessiva di oltre 300 ettari-. Il tutto verrà realizzato all'interno del Parco nazionale intitolato a Jeanette Kawas (Pnjk) e di una laguna registrata (con il numero 722) nell'elenco delle paludi protette dalla Convezione internazionale di protezione delle paludi (conosciuta come Ramsar). Il riempimento di gran parte della palude per la realizzazione del campo da golf è incompatibile con la convenzione Ramsar, che considera le paludi aree di assoluta preservazione. Le comunità locali, poi, non sono state consultate, come vorrebbe l'Accordo n° 169 dell'Organizzazione internazionale del lavoro.
Astaldi -che in Honduras ha già costruito dighe e autostrade con la propria controllata Astaldi Columbus- si incaricherà di realizzare la rete di infrastrutture di base, per un importo complessivo di circa 18 milioni di dollari (il budget complessivo del progetto è di circa 200): l'azienda italiana costruirà le strade, le fognature, il sistema elettrico, quello per la raccolta dei rifiuti solidi e per immagazzinare l'acqua potabile.
Il progetto è promosso dall’Instituto Hondureño de Turismo (Iht) e da imprenditori privati riuniti nella Sociedad de Desarrollo Turístico Bahía de Tela (Dtbt). È finanziato dalla Banca interamericana di sviluppo (14,9 milioni di dollari toccano ad Astaldi) e dalla Banca centroamerica di integrazione economica (Bcie).
Secondo i piani del ministero del Turismo, che il 17 agosto, in una cerimonia in pompa magna, ha posto “la prima pietra” del megaprogetto, presto arriveranno i villaggi vacanze.
Pronti ad attrarre nel Paese un numero sempre maggiore di turisti occidentali (da Milano ogni settimana parte già un charter diretto in Honduras, porta i turisti sull'isola di Roátan, l'unica Cancún del Paese).
Non è un caso, perciò, se per il secondo anno consecutivo “i famosi” e l'Isola metteranno per tre mesi le spiagge honduregne in vetrina davanti a milioni di telespettatori italiani (lo scorso anno il programma raccolse il 25% di share).
Cosa nasconde l'Isola? Nel dicembre 2006 un'inchiesta della rivista Altreconomia ha rivelato che le isolette dei Cayos, sedi del reality, sono in vendita. In più, il format prodotto da Magnolia e trasmesso dalla Rai sconvolge gli equilibri su cui si regge la vita delle popolazioni locali.
Lo scorso anno, ad esempio, la gente del Cayo Chachahuate non potè uscire in barca a pescare per tutto il tempo delle riprese.
È per questo che da una scuola media di Piombino, in provincia di Livorno, è partita una lettera indirizzata al direttore di Rai 2, Claudio Cappon. È firmata da 725 persone che chiedono di sospendere il programma. L'hanno scritta gli alunni di due prime dell'istituto, dopo aver letto un articolo sull'Isola di Betty Schiavon, attivista del Collettivo Italia Centro America (Cica), apparso a febbraio sulla rivista Popoli.
Il Cica, impegnato al fianco dei garifuna di Ofraneh, l'Organizzazione fraterna dei popli negri dell'Honduras, ha appena lanciato una campagna internazionale contro Astaldi. Sul blog lisolaeilmattone.blogspot.com trovate il testo di una lettera di denuncia (in tre lingue: italiano, inglese e spagnolo) da inviare ai rappresentanti dell'azienda in Italia e in Honduras.

Questo articolo è stato pubblicato il 4 settembre da Il Manifesto

lunedì 3 settembre 2007

In Costa Rica un referendum popolare per dire "No" al Trattato di libero commercio (2)


Nel primo dibattito pubblico di confronto, il fronte del "Sì" e quello del "No" si sono trovati d'accordo su un unico punto: in ogni caso, il Cafta non riuscirà a creare l'occupazione necessaria ad accogliere la manodopera in entrata nel mondo del lavoro (60 mila giovani ogni anno). Inoltre, secondo dati dell'agenzia governativa che promuove il commercio con l'estero, Procomer, solo 883 imprese delle 80 mila presenti nel Paese esporta verso gli Usa.
Il fronte del “No” è convinto che il Cafta «porrebbe a rischio le oltre 79 mila aziende che producono solo per il mercato interno».

venerdì 31 agosto 2007

Honduras, mercato e repressione. E chi protesta muore

Avete voluto manifestare e c'è scappato il morto: peggio per voi. È questo il senso del messaggio inviato da Armando Urtecho López, avvocato del Cohep, la Confindustria honduregna, agli attivisti del Coordinamento nazionale di resistenza popolare (Cnrp). Il 27 agosto, a partire dalle 4 e mezzo del mattino, in migliaia hanno occupato le principali strade del Paese e uno di loro, Wilfredo Lara, 23 anni, maestro, è stato ucciso da un colpo d'arma da fuoco, sparato a bruciapelo da un albergatore.
Il suo sindacato aveva aderito alla piattaforma lanciata dal Coordinamento nazionale di resistenza popolare (Cnrp) e Wilfredo stava partecipando al blocco (toma de carretera) nel municipio di Florida, a 350 km dalla capitale Tegucigalpa, lungo la strada che porta in Guatemala. «La colpa [dell'omicidio] -ha spiegato Urtecho López- è di chi fa manifestazioni insensate come quelle di questi giorni». E, rivolto alla Cnrp, ha aggiunto: «Lasciate che il popolo scelga se stare con i rivoltosi o con la tranquillità e lo sviluppo». Un concetto ripreso il giorno successivo anche dal ministro della Difesa, Arístides Mejia, che in un programma televisivo ha accusato i dirigenti del Coordinamento di essere i responsabili della morte del maestro.
L'atteggiamento che ha scatenato le reazioni della società civile: quelli dell'Alianza Cívica por la Democracia (Acd) hanno denunciato che «l'ordine di disarmo e la promessa di protezione nei confronti dei manifestanti e dei viaggiatori non è stato eseguito», accusando la polizia che, in questa occasione, «ha brillato per la sua assenza». Marvin Ponce, deputato dell'opposizione di sinistra in Honduras, il Partido de Unificacion Democratica (Ud) che però non arriva al 5 per cento, schiacciato tra il Partido Nacional e il Partido Liberal, che di diverso hanno solo il nome, ha invitato Urtecho López al silenzio: «La sua condizione di difensore degli oligarchi non le dà l'autorità morale di mettere in discussione i movimenti popolari, a meno che anche questo non sia pagato dagli onorari che riceve dagli imprenditori che lei difende in modo tenace».
Il Coordinamento nazionale di resistenza popolare raggruppa una trentina di organizzazioni contadine, indigene, sindacali e per la difesa dei diritti umani in tutto l'Honduras. Una toma de carretera ben organizzata, come quella di lunedì scorso, è in grado di paralizzare il piccolo Paese centro americano: per farlo basta occupare tre o quattro arterie. Secondo la stampa honduregna il 27 agosto c'erano -contemporaneamente- fino a una sedici blocchi.
La piattaforma che convocava la mobilitazione riassumeva tutte le richieste che la società civile ha avanzato negli ultimi anni (e le lotte portate avanti, che più volte abbiamo descritto su Liberazione). Tra le altre, la cancellazione della Ley de Agua Potable y Saneamiento del 2003, che ha permesso l'ingresso del capitale privato nella gestione degli acquedotti (la romana Acea insieme a un consorzio d'imprese è a San Pedro Sula, la seconda città del Paese); l'approvazione di una nuova Ley de Mineria, che metta fuorilegge le miniere a cielo aperto, che usano il cianuro nel processo di estrazione del minerale e poi lo disperdono nell'acqua e nell'aria (oggi quasi la metà dell'Honduras è sotto concessione mineraria e il capitale italiano è presente con un paio di permessi concessi alla ditta Colacem di Gubbio attraverso la controllata Eurocantera); la riforma agraria; il rispetto dei diritti dei popoli indigeni e negri; l'educazione pubblica gratuita; la riduzione del costo di invio delle rimesse dei migranti, una partita importante nella bilancia commerciale del Paese.
Secondo i portavoce del Cnrp, il presidente Mel Zelaya, al governo del dicembre del 2006, non ha fatto niente, in 19 mesi, per risolvere i gravi problemi del Paese: «Il Governo, con le sue posizioni demagogiche, ha mantenuto in modo arbitrario il modello neoliberista che ci sommerge nella miseria e nelle disintegrazione nazionale, e non ha mai mancato di utilizzare la repressione come risposta alla proteste popolari». Fedele alla linea, Zelaya ha rifiutato di incontrare i portavoce dei manifestanti. E mentre il ministro della Sicurezza gli accusava di voler creare in Honduras «una situazione boliviana», con un dirigente popolare come Evo Morales al potere, in un'altra esternazione l'avvocato degli industriali Urtecho López ha accusato il movimento di essere finanziati dal presidente venezuelano Hugo Chavez. La risposta è stata affidata a Daniel López, anch'egli dell'Alianza Civica por la Democracia: «È vero -ha detto ironicamente- ci sono dei contadini che fanno Chávez di cognome e che hanno pagato di tasca propria i passaggi in autobus per andare a manifestare».

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano Liberazione il 31 agosto 2007

lunedì 27 agosto 2007

In Costa Rica un referendum popolare per dire "No" al Trattato di libero commercio (1)


Il 7 ottobre prossimo la popolazione del Costa Rica sarà chiamata a decidere, con un referendum, se ratificare o meno dell'accordo di libero scambio tra il proprio Paese e gli Stati Uniti d'America. Firmato nel 2005, il Cafta, Central America Free Trade Agreement, è già in vigore in tutti i Paesi centroamericani a eccezione del Costa Rica. Con il sostegno dell'ambasciata degli Stati Uniti d'America, il governo del presidente Arias Sanchez e il Tribunale supremo elettorale (Tse) portano avanti una campagna a favore del "Sì": tra le ultime decisioni del Tse, ad esempio, c'è quella di impedire alle università di divulgare informazioni sugli studi che evidenziano l'impatto economico e sociale negativo del Cafta. Intanto il movimento sindacale, contadino e studentesco si è fatto promotore di un'ampia piattaforma di opposizione al Trattato di libero commercio, il Movimiento Patriótico "NO AL TLC", sviluppando a livello locale una struttura organizzativa di comitati patriottici formati da migliaia di volontari.
Il fronte del "Sì" sventola come una bandiera il "mito delle preferenze": secondo il presidente, se non ratifica il Cafta il Costa Rica non potrà più commerciare con gli Usa. Ma l'unico settore che, con il Trattato di libero commercio, verrebbe favorito da una riduzione della tassazione è il tessile (meno 20 per cento), un vantaggio che si annulla in virtù delle regole di origine imposta dal Cafta (l'uso, cioè, di input provenienti dagli Usa o dagli altri Paese del Centro America, ridurrebbe in modo sostanziale questo vantaggio).
L'unica certezza è che, anche senza il Cafta, il Costa Rica è il maggiore esportatore dell'America Centrale. L'export è cresciuto del 17 per cento tra il 2005 e il 2006 (da 7 a 8,2 miliardi di dollari).
Il commercio con gli Stati Uniti, 3,4 miliardi di dollari nel 2006, rappresenta una fetta importante dell'export "tico" (il nomigonolo affibbiato ai costaricensi mentre i nicaraguensi sono "Nica" e gli honduregni "catrachos"), anche se negli ultimi sei anni l'Asia ha reigstrato una crescita del 370%, passando da 304,8 a 1.435,3 milioni di dollari).
L'89 per cento dei prodotti esportati dal Costa Rica verso gli Stati Uniti d'America già paga tariffe inferiori al 10% (ananas: 0,5 centesimi; succo: 7,8 centesimi per litro), e questo 89 per cento rappresenta il 94,4 per cento in termini di valore.
Nessun dato evidenzia, invece, le possibilità di sviluppo nell'ambito del Trattato di libero commercio "vendute" come certe da Arias Sanchez al Paese.
Nell'opposizione (l'ex candidato alla presidenza Otton Solis ha detto: "Dov'è scritto per questo ci aiuterà a svilupparci?"), ma anche nella sua maggioranza, si levano molte voci contrarie al Cafta. L'esempio delle altre repubbliche centroamericane a un anno dall'entrata in vigore del Trattato evidenzia bilance commerciali verso gli Usa in profondo rosso.
Il Messico, poi, a dodici anni dal Nafta (North America Free Trade Agreement) esporta per lo più manodopera a basso costo (500 mila migranti all'anno) e fonda la propria economia sulle rimesse che questi inviano ai proprio familiari (oltre 20 milioni di dollari l'anno). Il Costa Rica non ci sta.

domenica 26 agosto 2007

In Guerrero nessuno vuole la diga "La Parota"

Il 12 agosto oltre 3 mila contadini indigeni del municipio di Cacahuatepec, nello Stato messicano del Guerrero, ha rinnovato il proprio "No" al progetto di costruzione della centrale idroelettrica "La Parota". Il progetto della diga è promosso dalla Comisión Federal de Electricidad (Cfe).
Secondo il Consejo de Ejidos y Comunidades Opositoras a La Parota (Cecop), l'invaso, creando un lago artificiale di oltre 14 mila ettari, andrebbe a sommergere 24 comunità indigene. Contro il progetto si è schierato anche l'Asociación Civil de Ingenieros Agrónomos Democráticos de Guerrero.
Nell'agosto del 2005, nel corso di una assemblea agraria, le comunità interessate dal progetto avevano votato contro la costruzione de La Parota, ma il 27 marzo di quest'anno il Tribunal Unitario Agrario ha annullato la votazione. La tensione è tornata a salire in Guerrero negli ultimi mesi. Negli anni, le lotte contro la realizzazione della diga hanno già lasciato sul campo quattro morti.
A maggio, in occasione di un'assemblea comunitaria per discutere la realizzazione della diga, si è recata nella regione anche una missione internazionale di osservazione dei diritti umani, che ha riscontrato l'"irregolarità" della convocazione dell'assemblea, la "strategia repressiva" del governatore dello Stato del Guerrero, Zeferino Torreblanca Galindo, colpevole di criminalizzare l'opposizione al megaprogetto -i membri del Cecop- nel tentativo di escluderla dalla discussione e dalla votazione.
Né il Governo statale né quello nazionale, però, sembrano intenzionati a riconoscere la validità del voto del 12 agosto. Considerano l'assemblea "consultiva". Così il Movimiento Mexicano de Afectados por las Presas y en Defensa de los Ríos (Mapder) ha promosso un manifesto internazionale (in spagnolo, in inglese) per esigere "il rispetto della volontà dei popoli e condannare l'imposizione del progetto idroelettrico La Parota".
Per adesioni guscastro@laneta.apc.org (Gustavo Castro)

I diritti affondano nella diga La Parota
(Il Manifesto, 10 dicembre 2004)
Eccomi a presentare questo blog, dopo i primi due articoli di prova postati ieri notte (sono un po' vecchi, pubblicati da Liberazione a metà luglio).
Già nel nome, icoloridelmais.blogspot.com, ho scelto di evidenziare la continuità di questo strumento con il mio libro, "I colori del mais. Società, economia e risorse in Centro America", pubblicato a giugno dalla casa editrice EMI.
Il punto di partenza è lo stesso: la volontà d'informare, intrecciando le storie di comunità, popoli indigeni e organizzazioni sociali con dinamiche economiche, politiche e sociali, una realtà -quella centroamericana- piuttosto assente sui media mainstream. E di farlo, prestando ancora più attenzione a ciò che accade, oggi che anche l'Unione europea si appresta a negoziare un accordo di libero commercio con la regione. Non è un particolare di poco conto: come scrive Roberto Sensi del Tradewatch nell'introduzione a "I colori del mais", per le imprese europee del settore dei servizi il Centro America rappresenta un approdo importante (molte, del resto, sono già arrivate, e adesso, per ingrandirsi, aspettano solo nuove "condizioni" più favorevoli agli investimenti).
La scommessa, per me, è quella di farne uno strumento utile (intanto) e continuativo (con l'impegno a postare almeno 2 o 3 notizie ogni settimana).
Grazie per l'attenzione e... usatemi. Luca

L'Italia investe sul Guatemala

La Camera dei deputati ha ratificato un Accordo sulla promozione e protezione degli investimenti tra il nostro Paese e il Guatemala, firmato a Città del Guatemala nel settembre 2003, con i voti contrari (53) di Rifondazione Comunista, Pdci e Verdi. L'onorevole Ramon Mantovani ha spiegato che nell'accordo "non c'è alcun [accenno al] rispetto dei trattati internazionali in materia di organizzazione del lavoro, non c'è alcuna clausola ambientale e non c'è alcuna clausola che attenga alla questione della corruzione. [...] non possiamo più accettare che si stipulino accordi di questo tipo". Anche se si parla, nel testo approvato, di "reciproca protezione degli investimenti", secondo il deputato di Rc questo "è un eufemismo", perché non esistono imprenditori e finanziarie guatemalteche che investono in Italia. Si tratta, cioè, di un Accordo ad hoc per la protezione di eventuali investimenti italiani, concentrati nei settori dell'agricoltura, dei servizi e dell'industria farmaceutica. Adesso il voto al Senato.
Il testo dell'accordo sul sito della Camera dei Deputati.

L'Unione Europea all'assalto dell'America Centrale

Pronti, via: sono iniziati a Bruxelles, in sordina, i negoziati per l'Accordo di associazione (Ada) tra l'Unione Europea e i Paesi centro americani.
I rappresentanti di Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua e Panama sono pronti a sedersi di fronte ai negoziatori della Commissione europea e, da pari a pari, firmare l'apertura delle proprie frontiere commerciali e finanziarie a prodotti, imprese e, soprattutto, capitali provenienti dall'Ue.
Per Bruxelles è la “solita” rincorsa agli Stati Uniti d'America. Dieci anni fa l'Europa avviò i negoziati per un accordo di libero scambio con il Messico (“Accordo globale” venne definito in quell'occasione) per ovviare gli effetti negativi -in termini di minori esportazioni- del Nafta (North America Free Trade Agreement, l'accordo di libero scambio tra Canada, Messico e Usa, in vigore dal 1 gennaio 1994).
Oggi l'Ada nasce come risposta europea al Cafta (Central America Free Trade Agreement), ratificato nell'ultimo anno e mezzo da tutti i Paesi della regione escluso il Costa Rica, dove a inizio ottobre si svolgerà un referendum, e sarà la popolazione locale a decidere il “Sì” o il “No” al Trattato.
Peter Mandelson, il commissario europeo al commercio, l'ha detto in modo esplicito: il modello dell'Accordo di associazione è quello del Cafta.
Non ama i giri di parole l'uomo che si trova a fare i conti con la crisi, ormai irreversibile, dei negoziati multilaterali in sede Wto (l'Organizzazione mondiale del commercio), e ha scelto di rispondere avviando negoziati bi-laterali a tutto tondo, dall'America Centrale alla Comunità andina di nazioni (Can) all'Asean (l'associazione delle nazioni del Sud-est asiatico).
I primi effetti del Cafta, però, sono sulla bocca di tutti: per tutto il Centro America il 2006 passerà alla storia come l'anno peggiore negli ultimi dieci per la bilancia commerciale nei confronti degli Stati Uniti d'America.
In El Salvador a un anno dal Cafta il deficit commerciale è cresciuto del 24%, provocando la perdita di oltre 93 mila posti di lavoro solo nel settore agricolo. Nell'ultimo anno prima dell'entrata in vigore dell'accordo di libero commercio con gli Usa, El Salvador aveva un surplus commerciale di 135 milioni di dollari con gli Stati Uniti, che nel 2006 è diventato un deficit di 300 milioni di dollari (è cresciuto l'import mentre l'export ha registrato un meno 10 per cento, da 2 a 1,8 miliardi di dollari).
Il Guatemala, per il quale gli Stati Uniti sono il principale socio commerciale (a cui vende il 34 per cento del suo export e compra il 41 per cento dell'import), in soli nove mesi è passato da una bilancia commerciale positiva a un deficit di 415 milioni di dollari.
Stesso discorso vale per l'Honduras, passato da un surplus commerciale di (quasi) 500 milioni di dollari nel 2005 a uno di 25 nel 2006.
Il paradosso vero, però, è che l'unico Paese centroamericano ad aver aumentato nell'ultimo anno la propria quota di esportazioni verso gli Stati Uniti d'America è il Costa Rica, che il Cafta non lo ha ancora ratificato.
Ma l'Unione Europea non è interessata più di tanto al mercato del Centro America -l'interscambio commerciale con la regione è una briciola della bilancia commerciale Ue- quanto, piuttosto, a conquistare il settore dei servizi. La svendita di comparti strategici per le economie nazionali come la generazione dell'energia idroelettrica (tutto il Centro America è ricco di corsi d'acqua), la costruzione e gestione di autostrade, la gestione del servizio idrico nelle città più importanti e già iniziata, e le aziende dell'Unione Europea -dalle spagnole Endesa e Union Fenosa alle italiane Astaldi, Colacem ed Enel- non stanno certo a guardare, ma l'Accordo di associazione darebbe senz'altro “quella spinta in più”.
Felipe Calderòn, presidente messicano in carica dal dicembre 2006, ha ridato vita all'idea di un Plan Puebla Panama, un piano di infrastrutture -stradali, energetiche, ricettive- finanziato dalla Banca interamericana di sviluppo per creare un cerniera, un ponte, tra il Sud del Messico e la Colombia.
E alcune aziende italiane, come avvoltoi, puntano a spartirsi gli appalti: Astaldi sarebbe in pole position per realizzare un (contestatissimo) progetto idroelettrico in El Salvador, El Chaparral, il cui costo stimato è di 141 milioni di dollari -pari alla metà del deficit commerciale del Paese con gli Usa-. E in Honduras la stessa azienda, attraverso la filiale Astaldi Columbus, ha firmato con l'Insituto hondureño de Turismoà un impatto ambientale devastante nella Bahia de Tela: 2 mila appartamenti, 6 multi-residence per un totale di 168 ville; e ancora: centri commerciali, parchi tematici e di intrattenimento. Per finire, un campo da golf. Il tutto su oltre 300 ettari di laguna, che verranno riempiti con sabbia prelevata dal mare.
La zona è abitata dai garifuna, una popolazione afrodiscendente tenacemente in lotta (una lotta che già conta molti caduti) per difendere la proprietà delle terre che occupano da oltre duecento anni. A nulla sembra valere la Costituzione, che all'art. 346 riconosce che “è un dovere dello Stato dettare norme a protezione dei diritti e degli interessi delle comunità indigene esistenti nel Paese, e in special modo delle terre e dei boschi dove queste risiedano”, né che l'Honduras abbia ratificato -nel giugno del 1994- l'Accordo n. 169 dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) sui diritti dei popoli indigeni e tribali in Paesi indipendenti. Il 70 per cento del territorio dei garifuna è ormai in mano a privati.
Ed è lo stesso “paradiso terrestre” dove il prossimo 20 settembre tornerà l'Isola dei famosi: per il secondo anno consecutivo la costa Atlantica dell'Honduras sarà in vetrina, in prima serata, davanti a milioni di spettatori. Un palcoscenico invidiabile per una zona in cui, tra qualche anno, i nostri connazionali potranno volare e far vacanza come a Tropea, in un villaggio turistico rigorosamente italian.