domenica 26 agosto 2007

L'Unione Europea all'assalto dell'America Centrale

Pronti, via: sono iniziati a Bruxelles, in sordina, i negoziati per l'Accordo di associazione (Ada) tra l'Unione Europea e i Paesi centro americani.
I rappresentanti di Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua e Panama sono pronti a sedersi di fronte ai negoziatori della Commissione europea e, da pari a pari, firmare l'apertura delle proprie frontiere commerciali e finanziarie a prodotti, imprese e, soprattutto, capitali provenienti dall'Ue.
Per Bruxelles è la “solita” rincorsa agli Stati Uniti d'America. Dieci anni fa l'Europa avviò i negoziati per un accordo di libero scambio con il Messico (“Accordo globale” venne definito in quell'occasione) per ovviare gli effetti negativi -in termini di minori esportazioni- del Nafta (North America Free Trade Agreement, l'accordo di libero scambio tra Canada, Messico e Usa, in vigore dal 1 gennaio 1994).
Oggi l'Ada nasce come risposta europea al Cafta (Central America Free Trade Agreement), ratificato nell'ultimo anno e mezzo da tutti i Paesi della regione escluso il Costa Rica, dove a inizio ottobre si svolgerà un referendum, e sarà la popolazione locale a decidere il “Sì” o il “No” al Trattato.
Peter Mandelson, il commissario europeo al commercio, l'ha detto in modo esplicito: il modello dell'Accordo di associazione è quello del Cafta.
Non ama i giri di parole l'uomo che si trova a fare i conti con la crisi, ormai irreversibile, dei negoziati multilaterali in sede Wto (l'Organizzazione mondiale del commercio), e ha scelto di rispondere avviando negoziati bi-laterali a tutto tondo, dall'America Centrale alla Comunità andina di nazioni (Can) all'Asean (l'associazione delle nazioni del Sud-est asiatico).
I primi effetti del Cafta, però, sono sulla bocca di tutti: per tutto il Centro America il 2006 passerà alla storia come l'anno peggiore negli ultimi dieci per la bilancia commerciale nei confronti degli Stati Uniti d'America.
In El Salvador a un anno dal Cafta il deficit commerciale è cresciuto del 24%, provocando la perdita di oltre 93 mila posti di lavoro solo nel settore agricolo. Nell'ultimo anno prima dell'entrata in vigore dell'accordo di libero commercio con gli Usa, El Salvador aveva un surplus commerciale di 135 milioni di dollari con gli Stati Uniti, che nel 2006 è diventato un deficit di 300 milioni di dollari (è cresciuto l'import mentre l'export ha registrato un meno 10 per cento, da 2 a 1,8 miliardi di dollari).
Il Guatemala, per il quale gli Stati Uniti sono il principale socio commerciale (a cui vende il 34 per cento del suo export e compra il 41 per cento dell'import), in soli nove mesi è passato da una bilancia commerciale positiva a un deficit di 415 milioni di dollari.
Stesso discorso vale per l'Honduras, passato da un surplus commerciale di (quasi) 500 milioni di dollari nel 2005 a uno di 25 nel 2006.
Il paradosso vero, però, è che l'unico Paese centroamericano ad aver aumentato nell'ultimo anno la propria quota di esportazioni verso gli Stati Uniti d'America è il Costa Rica, che il Cafta non lo ha ancora ratificato.
Ma l'Unione Europea non è interessata più di tanto al mercato del Centro America -l'interscambio commerciale con la regione è una briciola della bilancia commerciale Ue- quanto, piuttosto, a conquistare il settore dei servizi. La svendita di comparti strategici per le economie nazionali come la generazione dell'energia idroelettrica (tutto il Centro America è ricco di corsi d'acqua), la costruzione e gestione di autostrade, la gestione del servizio idrico nelle città più importanti e già iniziata, e le aziende dell'Unione Europea -dalle spagnole Endesa e Union Fenosa alle italiane Astaldi, Colacem ed Enel- non stanno certo a guardare, ma l'Accordo di associazione darebbe senz'altro “quella spinta in più”.
Felipe Calderòn, presidente messicano in carica dal dicembre 2006, ha ridato vita all'idea di un Plan Puebla Panama, un piano di infrastrutture -stradali, energetiche, ricettive- finanziato dalla Banca interamericana di sviluppo per creare un cerniera, un ponte, tra il Sud del Messico e la Colombia.
E alcune aziende italiane, come avvoltoi, puntano a spartirsi gli appalti: Astaldi sarebbe in pole position per realizzare un (contestatissimo) progetto idroelettrico in El Salvador, El Chaparral, il cui costo stimato è di 141 milioni di dollari -pari alla metà del deficit commerciale del Paese con gli Usa-. E in Honduras la stessa azienda, attraverso la filiale Astaldi Columbus, ha firmato con l'Insituto hondureño de Turismoà un impatto ambientale devastante nella Bahia de Tela: 2 mila appartamenti, 6 multi-residence per un totale di 168 ville; e ancora: centri commerciali, parchi tematici e di intrattenimento. Per finire, un campo da golf. Il tutto su oltre 300 ettari di laguna, che verranno riempiti con sabbia prelevata dal mare.
La zona è abitata dai garifuna, una popolazione afrodiscendente tenacemente in lotta (una lotta che già conta molti caduti) per difendere la proprietà delle terre che occupano da oltre duecento anni. A nulla sembra valere la Costituzione, che all'art. 346 riconosce che “è un dovere dello Stato dettare norme a protezione dei diritti e degli interessi delle comunità indigene esistenti nel Paese, e in special modo delle terre e dei boschi dove queste risiedano”, né che l'Honduras abbia ratificato -nel giugno del 1994- l'Accordo n. 169 dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) sui diritti dei popoli indigeni e tribali in Paesi indipendenti. Il 70 per cento del territorio dei garifuna è ormai in mano a privati.
Ed è lo stesso “paradiso terrestre” dove il prossimo 20 settembre tornerà l'Isola dei famosi: per il secondo anno consecutivo la costa Atlantica dell'Honduras sarà in vetrina, in prima serata, davanti a milioni di spettatori. Un palcoscenico invidiabile per una zona in cui, tra qualche anno, i nostri connazionali potranno volare e far vacanza come a Tropea, in un villaggio turistico rigorosamente italian.

9 commenti:

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