giovedì 27 settembre 2007

Costa Rica, la Chiesa cattolica per il "No" al referendum

"È stato chiesto alla nostra Chiesa di manifestare la propria neutralità rispetto a questa importante contesa, il referendum per il Trattato di libero commercio tra Costa Rica e Stati Uniti d'America. Ciò significherebbe, tuttavia, venir meno al nostro impegno: la Chiesa deve sempre essere al lato della verità, della giustizia e del benessere sociale".
Monsignor Ignacio Trejos, vescovo emerito di San Isidro de El General, ha le idee chiare rispetto al Cafta (Central America Free Trade Agreement), e con lui altri 93 sacerdoti cattolici che ieri hanno preso posizione contro il Trattato: "È importante che al referendum vinca il No". In vista del prossimo 7 ottobre, hanno reso pubblico un documento di otto pagine, intitolato “Un'analisi etica del Tlc”.
Tra i punti critici del Cafta, i sacerdoti segnalano che il Trattato "non rispetta la vita umana, obbligando il Paese ad approvare il Trattato di Budapest, che rende possibile e facilita la vendita di organi e di embrioni umani; brevetta le sementi e altre risorse necessarie per la vita, obbligando ad approvare l'accordo UPOV 91 sui derivati vegetali che permette di privatizzare e mettere sul mercato forme di vita".

mercoledì 19 settembre 2007

Centro America: investimenti in caduta libera con il Cafta

La liberalizzazione degli investimenti è uno dei pezzi chiave nel puzzle di ogni trattato di libero commercio (Tlc). E l'aumento degli investimenti diretti esteri, la capacità di attrarre maggiori risorse per lo sviluppo delle attività produttive, è segnalato tra gli effetti positivi di ogni Tlc (quasi salvifici per le piccole economie dei Paesi del Sud del mondo).
Stride con queste affermazioni il dato relativo al Centro America. In piena era Cafta (Central America Free Trade Agreement), nei primi sei mesi del 2007, gli investimenti esteri sono caduti in El Salvador (meno 180 milioni di dollari), Honduras (meno 182 milioni di dollari) e Repubblica Domenicana (meno 23,4 milioni di dollari). I dati sono contenuti in un rapporto presentato il 13 settembre a San José -capitale del Costa Rica- dalla Rete regionale di monitoraggio sugli impatti del Trattato di libero commercio sul Centro America formato, tra gli altri, da Confederación Guatemalteca de Cooperativas, Centro de Estudios en Inversión y Comercio de El Salvador, Coalición Hondureña de Acción Ciudadana, Movimiento Social Nicaraguense e Comisión Nacional de Enlace de Costa Rica.
Dallo stesso rapporto emerge l'aumento delle importazioni provenienti dagli Stati Uniti d'America. Più 11,7 per cento in El Salvador; più 26 per cento in Honduras; più 27,5 per cento in Nicaragua; più 13,5 per cento in Repubblica Domenicana.
Il Costa Rica deciderà il 7 ottobre, con un referendum popolare, se ratificare o meno il Cafta.

domenica 16 settembre 2007

In Costa Rica un referendum popolare per dir "No" al Trattato di libero commercio (4)

Traballa il fronte del "Sì" in Costa Rica, in vista del referendum popolare sul Cafta (Central America Free Trade Agreement) in programma il prossimo 7 ottobre.
Il vicepresidente della Repubblica e ministro della Pianificazione, Kevin Casas (nella foto), si è dimesso (temporaneamente) da tutti i suoi incarichi ed è sotto inchiesta da parte del Tribunale supremo elettorale (Tse). Casas ha invitato il presidente della Repubblica, Oscar Arias Sanchez, ex premio Nobel per la Pace, a "formare un comitato strategico per lanciare la campagna in favore del 'Sì' al Trattato di libero commercio".
Nel lungo memorandum, di sei pagine, datato 29 luglio 2007, il vicepresidente chiede ad Arias Sanchez di sospendere le sedute del Parlamento per permettere ai propri deputati di andare in giro per le comunità a far campagna, "dato che in questo momento la vittoria nel referendum è più importante dell'agenda legislativa". E, per promuovere il fronte del "Sì" a livello locale, lo invita a minacciare tutti i sindaci del partito di governo che "se non 'vincono' il referendum del 7 ottobre nel proprio canton, non vedranno un soldo dal governo nei prossimi 3 anni".
Della strategia fanno parte anche "la pubblicazione di materiale di educazione popolare favorevole al Trattato di libero commercio" e "organizzare una mobilitazione di massa". Quello che il fronte del "No", forse del sostegno popolare, sta facendo da mesi.
Casas, poi, suggerisce anche di puntare sullo spauracchio dell'ingerenza straniera. In particolare, sottolineando la vicinanza del fronte del "No" a "Fidel, Chavez e Ortega".
L'indagine amministrativa in corso proverà l'eventuale complicità del capo dello Stato.

Stop al progetto idroelettrico La Parota nello Stato del Guerrero

Una prima vittoria per il movimento che si oppone alla costruzione della diga La Parota, in Guerrero (nel Sud-est messicano). Un giudice federale, Livia Larumbe Radilla, ha imposto alla Comisión Federal de Electricidad (Cfe) la sospensione immediata di tutti i lavori per la centrale idroelettrica (che inonderebbe una superficie di 17 mila 300 ettari, costringendo forzosamente 25 mila persone ad emigrare). A metà agosto i contadini Víctor García Robles, Clemente Reyes Bailón, Petronila Valente Calixto, Gregorio García Vázquez, Ricardo García Valente, Juventino García Vázquez e Ángel Valente Vázquez hanno richiesto la protezione della giustizia federale contro la costruzione della diga. Secondo la popolazione locale, riunita nel Consejo de Ejidos y Comunidades Opositores a La Parota (Cecop), la centrale idroelettrica pregiudicherebbe la vita nell'area e la salvaguardia del fiume Papagayo. Il giudice ha accolto la loro istanza, stabilendo che fino a quando non verrà pronunciato il giudizio "le cose siano mantenute nello stato in cui si trovano e le autorità si astengano dall'autorizzare lo sfruttamento e l'utilizzo delle acque nazionali del fiume Papagayo per il progetto idroelettrico La Parota, per i danni irreversibili che causerebbe ai denuncianti che vivono nel municipio di Cacahuatepec”. In sostanza, se i lavori iniziassero, anche un eventuale giudizio a favore degli oppositori sarebbe inutile, in quanto l'ambiente risulterebbe in ogni caso gravemente compromesso. Non è una vittoria definitiva, quindi. Solo uno stop in attesa del giudizio.
La concessione per la costruzione delle diga è del 2005. La Parota ha già fatto tre vittime (tra gli oppositori). Recentemente, anche Amnesty International ha dedicato un rapporto al caso (Human Rights at Risk in La Parota Dam Project), invitando a firmare un appello.
Contro il progetto si sono pronunciati anche due rappresentanti delle Nazioni Unite, che nelle ultime settimane hanno visitato la regione dello Stato del Guerrero.
Secondo Rodolfo Stavenhagen, relatore speciale per i Popoli indigeni, uno Stato membro “non può ignorare i diritti della popolazione che subisce gli effetti negativi di un megaprogetto. E, in questo caso, non averlo fatto sin dall'inizio ha portato ai movimenti e ai conflitti che si vivono rispetto al progetto de La Parota”. “Da un punto di vista tecnico -ha aggiunto- La Parota non appare nemmeno tanto importante. Non risponde a un'esigenza per il Paese. La capacità di generare energia elettrica installata in Messico, infatti, eccede il fabbisogno del Paese”. Miloon Kothari, relatore speciale Onu per il Diritto all'abitare, ha invitato il governo messicano a considerare la possibilità di costruire centrali più piccole, che possano essere gestite dalla stesse comunità. “Viviamo -ha considerato- in una situazione di apartheid sociale, con modellli di sviluppo che rendono più profondi i conflitti”.

martedì 11 settembre 2007

La polemica su "L'intruso, il reality, l'isola e il mattone"

Il mio articolo L'intruso, il reality, l'isola e il mattone, pubblicato il 4 settembre da Il Manifesto, è stato ripreso il giorno dopo dal Corriere della Sera. Allora Giorgio Gori, amministratore delegato di Magnolia, la società che produce il reality "L'isola dei famosi", ha replicato scrivendo una lunga lettera a Il Manifesto, che è stata pubblicata domenica 9 settembre insieme a una mia controreplica. Le pubblico sul blog.




Sull'«Isola» nessun segreto
Il manifesto (terra terra del 4/9) ha dedicato all'«Isola dei Famosi» - e a ciò che si nasconderebbe dietro al programma di Raidue - un articolo di Luca Martinelli, poi ripreso anche da altri quotidiani. Sui diversi temi sollevati, collegati in realtà solo dal palese intento di mettere in cattiva luce la nostra produzione, desidero fornire alcune informazioni. Scrive il manifesto che in Honduras verrà realizzato un mega-complesso turistico a cura della Astaldi, e che sarebbe questa «il concorrente nascosto dell'Isola dei Famosi 2007». Non sarebbe cioè un caso se, per il secondo anno consecutivo, i «famosi» e l'«Isola» metteranno per tre mesi le spiagge honduregne in vetrina davanti a milioni di telespettatori italiani. Va da sé che nulla sappiamo dell'iniziativa della Astaldi e che l'insinuazione risulta anzi diffamatoria. Dalle ricerche che abbiamo condotto emerge che la questione dei paventati insediamenti si trascina da anni e i locali Garifuna contestano la costruzione di qualsiasi insediamento turistico. Vari sono stati i tentativi, probabilmente l'ultimo è questo della Astaldi. Ma tutto questo non ha nulla a che fare con Cayo Cochinos e il set del reality. La zona si trova infatti nel municipio di Tela, a circa 150 km da dove ha base la troupe, e a oltre tre ore di navigazione dal set del reality. Sostiene ancora l'artitolo che l'«Isola» nasconda altri segreti, come il fatto che le isolette del Cayo, sedi del reality, siano in vendita. A quanto ci è dato di sapere, solo l'isola di Cayo Culebra era in vendita, recentemente ceduta a un finanziere messicano. Ma l'accusa principale consiste nel fatto che il format prodotto da Magnolia «sconvolge gli equilibri su cui si regge la vita delle popolazioni locali». Ora, con i Garifuna i rapporti sono di assoluta collaborazione. E' in atto uno scontro, ma questo riguarda i Garifuna e le istituzioni honduregne, soprattutto riguardo ad alcuni presunti abusi avvenuti sempre nel municipio di Tela e riguardante la comunità di Triumfo de la Cruz , dove alcuni anni fa è stata bloccata la costruzione di alcune ville di lusso (progetto Mar Bella). Niente a che vedere quindi con le comunità Garifuna di Sambo Creek e Chachahuate, coinvolte nella realizzazione del reality. Va poi precisato che l'unica limitazione concordata lo scorso anno con la comunità Garifuna del Cayo consisteva nella richiesta di non avvicinarsi alla sola spiaggia dei concorrenti quando questi erano presenti. Questa limitazione è stata ripagata in due modi: in denaro (per mancato guadagno), e in servizi messi a disposizione della comunità (costruzione di una struttura sull'isola di Chachahuate, non utilizzata per il programma, disponibilità del medico della produzione per visite e interventi, bonifica e smaltimento di tutto l'Eternit presente sull'isola di Chachahuate, costruzione di un rifugio per i pescatori con 8 posti letto e 2 bagni). Questo nel 2006. Per quest'anno l'accordo è analogo. Verrà però versata una cifra doppia oltre ad altri interventi di finitura. Durante l'intero periodo di presenza dello staff, la comunità potrà usufruire gratuitamente delle barche della produzione per spostarsi. Si tenga anche conto che per la realizzazione del reality lavorano 15 rappresentanti della comunità.
Giorgio Gori, Ad Magnolia

Una prima considerazione è che il focus dell'articolo era il megaprogetto turistico in costruzione ad opera di Astaldi, tanto da segnalare la campagna di pressione avviata nei confronti dell'azienda italiana dal collettivo Italia-Centroamerica. Se non è provata alcuna relazione tra Astaldi e Magnolia, è vero però che entrambe le iniziative si svolgono all'interno di un processo di sviluppo turistico disegnato dal governo honduregno e che non tiene conto delle reali esigenze delle popolazioni locali. Questo può essere confermato dal fatto che per tutta la durata dell'edizione 2006 dell'«Isola», sul sito del consolato honduregno di Milano campeggiava il logo del programma con link al sito e che l'ambascitore dell'Honduras a Roma da noi intervistato ci ha confermato di ritenere il format televisivo un frande strumento di promozione turistica del paese. Per quanto riguarda invece le violazioni ai diritti delle popolazioni locali ci sono le denunce da parte di organizzazioni della società civile locale.
l. m.

giovedì 6 settembre 2007

In Costa Rica un referendum popolare per dire "No" al Trattato di libero commercio (3)

Pubblico sul blog la versione integrale dell'intervista sul referendum in Costa Rica con Gerardo Cerdas Vega, sociologo che coordina per la regione centro americana il “Grito de los Excluidos/as”. Leggermente tagliata è uscita ieri su Liberazione. (l.m.)

1) Il Costa Rica è l'unico Paese dell'America Centrale a non aver ancora ratificato il Cafta. Como avete ottenuto questo risultato?
Nel gennaio del 2003, quando iniziarono i negoziati del Cafta, ci trovammo in parte già organizzati: l'anno precedente ci eravamo riuniti e avevamo prodotto materiale informativo sull'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e l'Area di libero commercio delle Americhe (Alca), perché il Costa Rica partecipava ai due negoziati.
Ci avvicinammo all'Alianza Social Continental e, con loro, iniziammo a documentarci su una tematica complessa come il libero commercio.
Da questo nucleo è nato il movimento cittadino anti-Cafta, che oggi si è esteso a tutta la società ed è presente in modo trasversale in tutte le classi sociali. In 5 anni abbiamo costruito la campagna casa per casa, quartiere per quartiere, sindacato per sindacato, scuola dopo scuola… quello che si chiama “un lavoro da formiche”, ossia un lavoro lento e apparentemente insignificante ma con un enorme potere sociale.
Inoltre, già nel 2003 organizzammo le prime due mobilitazioni contro il Cafta, a gennaio e poi a febbraio. Il movimento che vediamo oggi deve molto all'aver colto per tempo il tema e alla capacità di raccogliere progressivamente le organizzazioni popolari del Paese, le vere pioniere di questa lotta che oggi coinvolge politici, partiti, organizzazioni non governative, università pubbliche, personalità e moltissimi cittadini e cittadine che, pur non appartenendo a nessuna realtà organizzata, hanno compreso la necessità storica di mobilitarsi.
Un elemento che vorrei mettere in luce è la creatività del movimento per quel che riguarda la produzione di materiali e le forme di espressione, dal tradizionale “volantino” ai video (molti sono su YouTube, ndr), l'uso di internet (ci sono numerosi blog, ndr) e quello del teatro e della musica come strumenti del messaggio politico, la pressione sull'assemblea legislativa e altre istanze governative.

2) Qual è, a tuo avviso, l'aspetto più importante del movimento che si oppone al Trattato di libero commercio?
Senz'altro che, pur non esistendo un coordinamento unico tra queste realtà, c'è un obiettivo comune, e questo unisce molto più che le leadership, che di fatto sono molto diverse. Credo di poter affermare, infatti, che tutto il movimento sociale e popolare è schierato contro il Cafta. E che ciascuna organizzazione è importante come le altre, indipendentemente dalla sua misura, perché ognuna agisce a livelli diversi (da quelle in grado di farsi sentire sui mezzi di comunicazione a quelle che lavorano solo nel proprio quartiere). Da un lato ci sono sindacati importanti come quello dell'Instituto Costarricense de Electricidad e organizzazioni contadine come il Frente Agrario Campesino contra el Tlc, ma l'aspetto più significativo è senz'altro il sorgere di espressioni organizzative nuove, nei quartieri, nei cantoni, tra i giovani.
Sono realtà che rompono gli schemi organizzativi tradizionali, e questo costituisce una ricchezza politica fondamentale per questo movimento, perché lo rende molto flessibile e difficile da cooptare.
Ci sono alcune esperienza importanti di unità, tra i quali la Coordinadora Nacional de Lucha contra el Tlc, i coordinamenti regionali (che funzionano in modo autonomo). Esiste anche un Frente Nacional de Apoyo a la Lucha contra el Tlc, di cui fanno parte personalità accademiche e politiche. E anche alcuni partiti politici, come il Frente Amplio e Acción Ciudadana, hanno svolto un ruolo importante nell'invitare la cittadinanza a opporsi al Cafta. Ma la cosa più rilevante è senza dubbio che la società intera si è mobilitata, e questo fa sì che il “fuoco” della resistenza non siano le organizzazioni, diventate più che altro “vettori” della mobilitazione dal basso.

3) Prima di ratificare il Cafta, l'assemblea legislativa deve approvare 13 progetti di legge, parte inseparabile del Trattato di libero commercio. Che temi riguardano? È vero che alcuni di questi provvedimenti sarebbero incostituzionali?
Alcuni progetti di legge in discussione, la cosiddetta “agenda di implementazione del Cafta”, sono indispensabili affinché il Tlc abbia piena effettività giuridica. I più controversi sono quelli che riguardano il “rafforzamento” dell'Instituto Costarricense de Electricidad (Ice), che a dispetto del nome debilita la più efficiente azienda pubblica del Centro America, per renderla facile preda delle multinazionali (le spagnole Union Fenosa, Iberdrola e Endesa sono già presenti in tutta la regione, ndr), la legge sulla liberalizzazione delle assicurazioni e delle risorse idriche, l'approvazione di un accordo per la protezione dei brevetti sui vegetali (UPOV-91) e l'approvazione del Trattato di Budapest (ancora una misura relativa ai brevetti, ndr).
Per finire, un prestito di 220 milioni di dollari da parte della Banca interamericana di sviluppo (Bid), a cui si aggiungono 135 milioni di dollari di fondi pubblici, per sviluppare progetti come “sostegno alla competitività delle piccole e medie imprese, sviluppo dell'agricoltura e dell'allevamento sostenibili e rafforzamento dell'educazione rurale”, senza che esista alcun progetto concreto.
Un gruppo di lavoro formato da giuristi dell'Università del Costa Rica hanno analizzato il testo del Trattato, segnalando almeno 50 incostituzionalità. Nonostante questo, la Sala Constitucional della Corte suprema di giustizia, al servizio del Governo, ha dichiarato che il Trattato di libero commercio rispetta la Costituzione.

4) A ottobre il popolo del Costa Rica voterà “Sì” o “No” alla ratifica del Trattato. A livello mondiale è la prima volta la decisione riguardo a un accordo commerciale si dibatte in una consultazione popolare. Come siete arrivati a questa proposta?
Il movimento popolare non ha mai cercato il referendum, perché il nostro obiettivo è sempre stato che il testo del Cafta non fosse nemmeno discusso dall'assemblea legislativa.
L'idea di un referendum è stata lanciata lo scorso anno da un gruppo di cittadini guidati da José Miguel Corrales, ex deputato ed ex candidato alla presidenza del Partido de Liberación Nacional (lo stesso del presidente Oscar Arias). Dopo la marcia del 26 febbraio 2007, a cui hanno partecipato 250 mila persone, il Tribunale supremo elettorale accolse la richiesta di convocare una consultazione popolare e autorizzò il gruppo di Corrales a raccogliere le firme del 5 per cento degli elettori, che avrebbero reso effettiva la convocazione del referendum. A quel punto, il governo di Oscar Arias decise invece di convocare il referendum d'accordo con l'assemblea legislativa, presentandosi così come un Governo democratico che “ascolta la voce del popolo”.
È certo però che tutto il processo verso questo referendum è stato pieno di frodi e di arbitrarietà. Ad esempio, è palese che il Governo stia utilizzando i fondi che servono a finanziare i servizi pubblici e progetti sociali per “comprare” le comunità rurali, facendo pressioni perché votino per il “Sì”. La pubblicità stupida e ingannevole diffusa dal fronte governativo attraverso i mezzi di comunicazione confonde i cittadini, ai quali non sono mai offerti argomenti validi contro il “No”. Ricorrono, addirittura, al vecchio metodo maccartista della “minaccia comunista”.
Perciò, anche se è logico che agli occhi della comunità internazionale questo referendum appaia come un momento storico, non dobbiamo perdere di vista le criticità delle condizioni in cui verrà celebrato: il 99,7 per cento della pubblicità sugli organi d'informazione è comprata dal fronte del “Sì” (imprenditori, governo) e appena lo 0,3 per cento dal “No”.
La differenza è abissale, ma il Tribunale elettorale non si è preoccupato di garantire equità nell'accesso ai mezzi di comunicazione, nemmeno a quelli pubblici. Ciò non nega, però, l'importanza fondamentale della consultazione del 7 ottobre, e stiamo facendo tutto il possibile perché il “No” possa battere il “Sì” in maniere evidente.

5) Come vi siete organizzati per sensibilizzare la popolazione sui rischi del Cafta e per far sì che la maggioranza dei costaricani votino “No” al referendum?
Come ho spiegato prima, la nostra è un'organizzazione molto decentrata, basata sull'attivismo “di tutti i giorni”. In questo contesto, le attività educative sono fondamentali, e passano per la produzione e distribuzione (quasi sempre gratuita) di materiali e bandiere o adesivi, le visite alle comunità contadine e indigene, programmi alle radio, radio comunitarie, e attività artistiche.
L'articolazione politica c'è stata soprattutto negli spazi micro-sociali, ed è importante capire questo particolare.
C'è stato, però, anche uno sforzo enorme da parte di alcuni partiti politici rappresentanti nell'assemblea legislativa, come il Partido de Acción Ciudadana, il Partido Accessibilidad Sin Exclusiones e il Frente Amplio), per formare scrutatori e osservatori per il giorno del referendum.
Inoltre, molte organizzazioni stanno sostenendo economicamente la campagna per quanto riguarda i mezzi di trasporto, l'alimentazione e la stampa di materiali, per garantirci almeno di poter realizzare il nostro lavoro nella miglior maniera possibile.

6) Cosa accadrà in caso di vittoria del fronte del “No”? Quale pensi che possa essere la relazione della classe politica e, in particolare, del presidente Arias Sanches? Cosa ti aspetti dagli Stati Uniti d'America?
Se vince il “No”, sarà uno shock per gli Stati Uniti e per tutta la classe politica costaricana. Credo che non se lo aspettino e che siano pronti a commettere frodi elettorali per impedirlo. Nel caso perdessero, c'è la possibilità che non accettino il risultato, e che arrivi la repressione.
È difficile, ma possibile. Ciò che è certo, però, è che il Governo continuerà a far pressioni per la ratifica dell'“agenda d'implementazione”, che sarebbe una sorta di “Cafta senza il Cafta”. Gli Usa, invece, potrebbero imporre sanzioni commerciali, per dare una sorta di “castigo esemplare” e per avvertire gli altri Paesi sui rischi che corre che si oppone alla firma di un Trattato di libero commercio. Nell'ambito di questo castigo, credo potrebbero decidere di trasferire investimenti verso altri Paesi dell'area, come il Nicaragua o l'Honduras, per colpevolizzare la popolazione costaricana di un'eventuale perdita di posti di lavoro.
Lo scenario è difficile da prevedere, ma voglio evidenziare un aspetto essenziale: le contraddizioni del Cafta rivelano una situazione più complessa, profonda e strutturale in termini di critica al neoliberismo. Perciò, che vinca il “Sì” o il “No”, questa contraddizione profonda non si risolverà con questo referendum ma resterà latente come elemento centrale della vita politica del Paese nei prossimi anni.
Se vince il “No”, il nostro prossimo passo dev'essere quello di approfondire la capacità organizzativa e propositiva del popolo.
Il Costa Rica ha bisogno di una profonda trasformazione economica, politica e sociale che equivale a una rifondazione del Paese. Ma la classe politica è corrotta e senza orizzonti, e per questo svende il Paese. Perciò questa rifondazione dev'essere promossa dalla società mobilitata. Ciò che abbiamo oggi è la “voglia di politica”, che anche se non basta da sola a creare questa trasformazione è un seme di iniziative, e forze popolari che nel lungo periodo possono incidere in modo effettivo e positivo nella costruzione del Paese a cui tutti e tutte aspiriamo.

martedì 4 settembre 2007

L'intruso, il reality, l'isola e il mattone

C’è un concorrente nascosto all’edizione 2007 dell’“Isola dei famosi”.
È Astaldi, la seconda società di costruzioni in Italia. A luglio ha firmato il contratto per iniziare i lavori del megaprogetto turistico “Bahia de Tela” (vedi terraterra del 23 aprile 2005). Il complesso verrà realizzato sulla costa caraibica dell’Honduras, a pochi chilometri dalle isole dei Cayos Cochinos, dove il 20 settembre inizia la nuova serie del reality show.
La regione, però, è abitata da un’etnia indigena afrodiscendente, i garifuna, che vivono di pesca in comunità lungo la costa e temono l’impatto sociale e ambientale del turismo di massa.
Oggi la Laguna de los Micos è un paradiso di mangrovie, una striscia vergine di spiaggia e vegetazione di oltre 3 km. Il progetto Bahia de Tela prevede quattro hotel di lusso, 256 ville, un campo di golf, un club ippico e un centro commerciale -su una superficie complessiva di oltre 300 ettari-. Il tutto verrà realizzato all'interno del Parco nazionale intitolato a Jeanette Kawas (Pnjk) e di una laguna registrata (con il numero 722) nell'elenco delle paludi protette dalla Convezione internazionale di protezione delle paludi (conosciuta come Ramsar). Il riempimento di gran parte della palude per la realizzazione del campo da golf è incompatibile con la convenzione Ramsar, che considera le paludi aree di assoluta preservazione. Le comunità locali, poi, non sono state consultate, come vorrebbe l'Accordo n° 169 dell'Organizzazione internazionale del lavoro.
Astaldi -che in Honduras ha già costruito dighe e autostrade con la propria controllata Astaldi Columbus- si incaricherà di realizzare la rete di infrastrutture di base, per un importo complessivo di circa 18 milioni di dollari (il budget complessivo del progetto è di circa 200): l'azienda italiana costruirà le strade, le fognature, il sistema elettrico, quello per la raccolta dei rifiuti solidi e per immagazzinare l'acqua potabile.
Il progetto è promosso dall’Instituto Hondureño de Turismo (Iht) e da imprenditori privati riuniti nella Sociedad de Desarrollo Turístico Bahía de Tela (Dtbt). È finanziato dalla Banca interamericana di sviluppo (14,9 milioni di dollari toccano ad Astaldi) e dalla Banca centroamerica di integrazione economica (Bcie).
Secondo i piani del ministero del Turismo, che il 17 agosto, in una cerimonia in pompa magna, ha posto “la prima pietra” del megaprogetto, presto arriveranno i villaggi vacanze.
Pronti ad attrarre nel Paese un numero sempre maggiore di turisti occidentali (da Milano ogni settimana parte già un charter diretto in Honduras, porta i turisti sull'isola di Roátan, l'unica Cancún del Paese).
Non è un caso, perciò, se per il secondo anno consecutivo “i famosi” e l'Isola metteranno per tre mesi le spiagge honduregne in vetrina davanti a milioni di telespettatori italiani (lo scorso anno il programma raccolse il 25% di share).
Cosa nasconde l'Isola? Nel dicembre 2006 un'inchiesta della rivista Altreconomia ha rivelato che le isolette dei Cayos, sedi del reality, sono in vendita. In più, il format prodotto da Magnolia e trasmesso dalla Rai sconvolge gli equilibri su cui si regge la vita delle popolazioni locali.
Lo scorso anno, ad esempio, la gente del Cayo Chachahuate non potè uscire in barca a pescare per tutto il tempo delle riprese.
È per questo che da una scuola media di Piombino, in provincia di Livorno, è partita una lettera indirizzata al direttore di Rai 2, Claudio Cappon. È firmata da 725 persone che chiedono di sospendere il programma. L'hanno scritta gli alunni di due prime dell'istituto, dopo aver letto un articolo sull'Isola di Betty Schiavon, attivista del Collettivo Italia Centro America (Cica), apparso a febbraio sulla rivista Popoli.
Il Cica, impegnato al fianco dei garifuna di Ofraneh, l'Organizzazione fraterna dei popli negri dell'Honduras, ha appena lanciato una campagna internazionale contro Astaldi. Sul blog lisolaeilmattone.blogspot.com trovate il testo di una lettera di denuncia (in tre lingue: italiano, inglese e spagnolo) da inviare ai rappresentanti dell'azienda in Italia e in Honduras.

Questo articolo è stato pubblicato il 4 settembre da Il Manifesto

lunedì 3 settembre 2007

In Costa Rica un referendum popolare per dire "No" al Trattato di libero commercio (2)


Nel primo dibattito pubblico di confronto, il fronte del "Sì" e quello del "No" si sono trovati d'accordo su un unico punto: in ogni caso, il Cafta non riuscirà a creare l'occupazione necessaria ad accogliere la manodopera in entrata nel mondo del lavoro (60 mila giovani ogni anno). Inoltre, secondo dati dell'agenzia governativa che promuove il commercio con l'estero, Procomer, solo 883 imprese delle 80 mila presenti nel Paese esporta verso gli Usa.
Il fronte del “No” è convinto che il Cafta «porrebbe a rischio le oltre 79 mila aziende che producono solo per il mercato interno».