Una prima vittoria per il movimento che si oppone alla costruzione della diga La Parota, in Guerrero (nel Sud-est messicano). Un giudice federale, Livia Larumbe Radilla, ha imposto alla Comisión Federal de Electricidad (Cfe) la sospensione immediata di tutti i lavori per la centrale idroelettrica (che inonderebbe una superficie di 17 mila 300 ettari, costringendo forzosamente 25 mila persone ad emigrare). A metà agosto i contadini Víctor García Robles, Clemente Reyes Bailón, Petronila Valente Calixto, Gregorio García Vázquez, Ricardo García Valente, Juventino García Vázquez e Ángel Valente Vázquez hanno richiesto la protezione della giustizia federale contro la costruzione della diga. Secondo la popolazione locale, riunita nel Consejo de Ejidos y Comunidades Opositores a La Parota (Cecop), la centrale idroelettrica pregiudicherebbe la vita nell'area e la salvaguardia del fiume Papagayo. Il giudice ha accolto la loro istanza, stabilendo che fino a quando non verrà pronunciato il giudizio "le cose siano mantenute nello stato in cui si trovano e le autorità si astengano dall'autorizzare lo sfruttamento e l'utilizzo delle acque nazionali del fiume Papagayo per il progetto idroelettrico La Parota, per i danni irreversibili che causerebbe ai denuncianti che vivono nel municipio di Cacahuatepec”. In sostanza, se i lavori iniziassero, anche un eventuale giudizio a favore degli oppositori sarebbe inutile, in quanto l'ambiente risulterebbe in ogni caso gravemente compromesso. Non è una vittoria definitiva, quindi. Solo uno stop in attesa del giudizio.
La concessione per la costruzione delle diga è del 2005. La Parota ha già fatto tre vittime (tra gli oppositori). Recentemente, anche Amnesty International ha dedicato un rapporto al caso (Human Rights at Risk in La Parota Dam Project), invitando a firmare un appello.
Contro il progetto si sono pronunciati anche due rappresentanti delle Nazioni Unite, che nelle ultime settimane hanno visitato la regione dello Stato del Guerrero.
Secondo Rodolfo Stavenhagen, relatore speciale per i Popoli indigeni, uno Stato membro “non può ignorare i diritti della popolazione che subisce gli effetti negativi di un megaprogetto. E, in questo caso, non averlo fatto sin dall'inizio ha portato ai movimenti e ai conflitti che si vivono rispetto al progetto de La Parota”. “Da un punto di vista tecnico -ha aggiunto- La Parota non appare nemmeno tanto importante. Non risponde a un'esigenza per il Paese. La capacità di generare energia elettrica installata in Messico, infatti, eccede il fabbisogno del Paese”. Miloon Kothari, relatore speciale Onu per il Diritto all'abitare, ha invitato il governo messicano a considerare la possibilità di costruire centrali più piccole, che possano essere gestite dalla stesse comunità. “Viviamo -ha considerato- in una situazione di apartheid sociale, con modellli di sviluppo che rendono più profondi i conflitti”.
La concessione per la costruzione delle diga è del 2005. La Parota ha già fatto tre vittime (tra gli oppositori). Recentemente, anche Amnesty International ha dedicato un rapporto al caso (Human Rights at Risk in La Parota Dam Project), invitando a firmare un appello.
Contro il progetto si sono pronunciati anche due rappresentanti delle Nazioni Unite, che nelle ultime settimane hanno visitato la regione dello Stato del Guerrero.
Secondo Rodolfo Stavenhagen, relatore speciale per i Popoli indigeni, uno Stato membro “non può ignorare i diritti della popolazione che subisce gli effetti negativi di un megaprogetto. E, in questo caso, non averlo fatto sin dall'inizio ha portato ai movimenti e ai conflitti che si vivono rispetto al progetto de La Parota”. “Da un punto di vista tecnico -ha aggiunto- La Parota non appare nemmeno tanto importante. Non risponde a un'esigenza per il Paese. La capacità di generare energia elettrica installata in Messico, infatti, eccede il fabbisogno del Paese”. Miloon Kothari, relatore speciale Onu per il Diritto all'abitare, ha invitato il governo messicano a considerare la possibilità di costruire centrali più piccole, che possano essere gestite dalla stesse comunità. “Viviamo -ha considerato- in una situazione di apartheid sociale, con modellli di sviluppo che rendono più profondi i conflitti”.
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