Pubblico sul blog la versione integrale dell'intervista sul referendum in Costa Rica con Gerardo Cerdas Vega, sociologo che coordina per la regione centro americana il “Grito de los Excluidos/as”. Leggermente tagliata è uscita ieri su Liberazione. (l.m.)
1) Il Costa Rica è l'unico Paese dell'America Centrale a non aver ancora ratificato il Cafta. Como avete ottenuto questo risultato?
Nel gennaio del 2003, quando iniziarono i negoziati del Cafta, ci trovammo in parte già organizzati: l'anno precedente ci eravamo riuniti e avevamo prodotto materiale informativo sull'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e l'Area di libero commercio delle Americhe (Alca), perché il Costa Rica partecipava ai due negoziati.
Ci avvicinammo all'Alianza Social Continental e, con loro, iniziammo a documentarci su una tematica complessa come il libero commercio.
Da questo nucleo è nato il movimento cittadino anti-Cafta, che oggi si è esteso a tutta la società ed è presente in modo trasversale in tutte le classi sociali. In 5 anni abbiamo costruito la campagna casa per casa, quartiere per quartiere, sindacato per sindacato, scuola dopo scuola… quello che si chiama “un lavoro da formiche”, ossia un lavoro lento e apparentemente insignificante ma con un enorme potere sociale.
Inoltre, già nel 2003 organizzammo le prime due mobilitazioni contro il Cafta, a gennaio e poi a febbraio. Il movimento che vediamo oggi deve molto all'aver colto per tempo il tema e alla capacità di raccogliere progressivamente le organizzazioni popolari del Paese, le vere pioniere di questa lotta che oggi coinvolge politici, partiti, organizzazioni non governative, università pubbliche, personalità e moltissimi cittadini e cittadine che, pur non appartenendo a nessuna realtà organizzata, hanno compreso la necessità storica di mobilitarsi.
Un elemento che vorrei mettere in luce è la creatività del movimento per quel che riguarda la produzione di materiali e le forme di espressione, dal tradizionale “volantino” ai video (molti sono su YouTube, ndr), l'uso di internet (ci sono numerosi blog, ndr) e quello del teatro e della musica come strumenti del messaggio politico, la pressione sull'assemblea legislativa e altre istanze governative.
2) Qual è, a tuo avviso, l'aspetto più importante del movimento che si oppone al Trattato di libero commercio?
Senz'altro che, pur non esistendo un coordinamento unico tra queste realtà, c'è un obiettivo comune, e questo unisce molto più che le leadership, che di fatto sono molto diverse. Credo di poter affermare, infatti, che tutto il movimento sociale e popolare è schierato contro il Cafta. E che ciascuna organizzazione è importante come le altre, indipendentemente dalla sua misura, perché ognuna agisce a livelli diversi (da quelle in grado di farsi sentire sui mezzi di comunicazione a quelle che lavorano solo nel proprio quartiere). Da un lato ci sono sindacati importanti come quello dell'Instituto Costarricense de Electricidad e organizzazioni contadine come il Frente Agrario Campesino contra el Tlc, ma l'aspetto più significativo è senz'altro il sorgere di espressioni organizzative nuove, nei quartieri, nei cantoni, tra i giovani.
Sono realtà che rompono gli schemi organizzativi tradizionali, e questo costituisce una ricchezza politica fondamentale per questo movimento, perché lo rende molto flessibile e difficile da cooptare.
Ci sono alcune esperienza importanti di unità, tra i quali la Coordinadora Nacional de Lucha contra el Tlc, i coordinamenti regionali (che funzionano in modo autonomo). Esiste anche un Frente Nacional de Apoyo a la Lucha contra el Tlc, di cui fanno parte personalità accademiche e politiche. E anche alcuni partiti politici, come il Frente Amplio e Acción Ciudadana, hanno svolto un ruolo importante nell'invitare la cittadinanza a opporsi al Cafta. Ma la cosa più rilevante è senza dubbio che la società intera si è mobilitata, e questo fa sì che il “fuoco” della resistenza non siano le organizzazioni, diventate più che altro “vettori” della mobilitazione dal basso.
3) Prima di ratificare il Cafta, l'assemblea legislativa deve approvare 13 progetti di legge, parte inseparabile del Trattato di libero commercio. Che temi riguardano? È vero che alcuni di questi provvedimenti sarebbero incostituzionali?
Alcuni progetti di legge in discussione, la cosiddetta “agenda di implementazione del Cafta”, sono indispensabili affinché il Tlc abbia piena effettività giuridica. I più controversi sono quelli che riguardano il “rafforzamento” dell'Instituto Costarricense de Electricidad (Ice), che a dispetto del nome debilita la più efficiente azienda pubblica del Centro America, per renderla facile preda delle multinazionali (le spagnole Union Fenosa, Iberdrola e Endesa sono già presenti in tutta la regione, ndr), la legge sulla liberalizzazione delle assicurazioni e delle risorse idriche, l'approvazione di un accordo per la protezione dei brevetti sui vegetali (UPOV-91) e l'approvazione del Trattato di Budapest (ancora una misura relativa ai brevetti, ndr).
Per finire, un prestito di 220 milioni di dollari da parte della Banca interamericana di sviluppo (Bid), a cui si aggiungono 135 milioni di dollari di fondi pubblici, per sviluppare progetti come “sostegno alla competitività delle piccole e medie imprese, sviluppo dell'agricoltura e dell'allevamento sostenibili e rafforzamento dell'educazione rurale”, senza che esista alcun progetto concreto.
Un gruppo di lavoro formato da giuristi dell'Università del Costa Rica hanno analizzato il testo del Trattato, segnalando almeno 50 incostituzionalità. Nonostante questo, la Sala Constitucional della Corte suprema di giustizia, al servizio del Governo, ha dichiarato che il Trattato di libero commercio rispetta la Costituzione.
4) A ottobre il popolo del Costa Rica voterà “Sì” o “No” alla ratifica del Trattato. A livello mondiale è la prima volta la decisione riguardo a un accordo commerciale si dibatte in una consultazione popolare. Come siete arrivati a questa proposta?
Il movimento popolare non ha mai cercato il referendum, perché il nostro obiettivo è sempre stato che il testo del Cafta non fosse nemmeno discusso dall'assemblea legislativa.
L'idea di un referendum è stata lanciata lo scorso anno da un gruppo di cittadini guidati da José Miguel Corrales, ex deputato ed ex candidato alla presidenza del Partido de Liberación Nacional (lo stesso del presidente Oscar Arias). Dopo la marcia del 26 febbraio 2007, a cui hanno partecipato 250 mila persone, il Tribunale supremo elettorale accolse la richiesta di convocare una consultazione popolare e autorizzò il gruppo di Corrales a raccogliere le firme del 5 per cento degli elettori, che avrebbero reso effettiva la convocazione del referendum. A quel punto, il governo di Oscar Arias decise invece di convocare il referendum d'accordo con l'assemblea legislativa, presentandosi così come un Governo democratico che “ascolta la voce del popolo”.
È certo però che tutto il processo verso questo referendum è stato pieno di frodi e di arbitrarietà. Ad esempio, è palese che il Governo stia utilizzando i fondi che servono a finanziare i servizi pubblici e progetti sociali per “comprare” le comunità rurali, facendo pressioni perché votino per il “Sì”. La pubblicità stupida e ingannevole diffusa dal fronte governativo attraverso i mezzi di comunicazione confonde i cittadini, ai quali non sono mai offerti argomenti validi contro il “No”. Ricorrono, addirittura, al vecchio metodo maccartista della “minaccia comunista”.
Perciò, anche se è logico che agli occhi della comunità internazionale questo referendum appaia come un momento storico, non dobbiamo perdere di vista le criticità delle condizioni in cui verrà celebrato: il 99,7 per cento della pubblicità sugli organi d'informazione è comprata dal fronte del “Sì” (imprenditori, governo) e appena lo 0,3 per cento dal “No”.
La differenza è abissale, ma il Tribunale elettorale non si è preoccupato di garantire equità nell'accesso ai mezzi di comunicazione, nemmeno a quelli pubblici. Ciò non nega, però, l'importanza fondamentale della consultazione del 7 ottobre, e stiamo facendo tutto il possibile perché il “No” possa battere il “Sì” in maniere evidente.
5) Come vi siete organizzati per sensibilizzare la popolazione sui rischi del Cafta e per far sì che la maggioranza dei costaricani votino “No” al referendum?
Come ho spiegato prima, la nostra è un'organizzazione molto decentrata, basata sull'attivismo “di tutti i giorni”. In questo contesto, le attività educative sono fondamentali, e passano per la produzione e distribuzione (quasi sempre gratuita) di materiali e bandiere o adesivi, le visite alle comunità contadine e indigene, programmi alle radio, radio comunitarie, e attività artistiche.
L'articolazione politica c'è stata soprattutto negli spazi micro-sociali, ed è importante capire questo particolare.
C'è stato, però, anche uno sforzo enorme da parte di alcuni partiti politici rappresentanti nell'assemblea legislativa, come il Partido de Acción Ciudadana, il Partido Accessibilidad Sin Exclusiones e il Frente Amplio), per formare scrutatori e osservatori per il giorno del referendum.
Inoltre, molte organizzazioni stanno sostenendo economicamente la campagna per quanto riguarda i mezzi di trasporto, l'alimentazione e la stampa di materiali, per garantirci almeno di poter realizzare il nostro lavoro nella miglior maniera possibile.
6) Cosa accadrà in caso di vittoria del fronte del “No”? Quale pensi che possa essere la relazione della classe politica e, in particolare, del presidente Arias Sanches? Cosa ti aspetti dagli Stati Uniti d'America?
Se vince il “No”, sarà uno shock per gli Stati Uniti e per tutta la classe politica costaricana. Credo che non se lo aspettino e che siano pronti a commettere frodi elettorali per impedirlo. Nel caso perdessero, c'è la possibilità che non accettino il risultato, e che arrivi la repressione.
È difficile, ma possibile. Ciò che è certo, però, è che il Governo continuerà a far pressioni per la ratifica dell'“agenda d'implementazione”, che sarebbe una sorta di “Cafta senza il Cafta”. Gli Usa, invece, potrebbero imporre sanzioni commerciali, per dare una sorta di “castigo esemplare” e per avvertire gli altri Paesi sui rischi che corre che si oppone alla firma di un Trattato di libero commercio. Nell'ambito di questo castigo, credo potrebbero decidere di trasferire investimenti verso altri Paesi dell'area, come il Nicaragua o l'Honduras, per colpevolizzare la popolazione costaricana di un'eventuale perdita di posti di lavoro.
Lo scenario è difficile da prevedere, ma voglio evidenziare un aspetto essenziale: le contraddizioni del Cafta rivelano una situazione più complessa, profonda e strutturale in termini di critica al neoliberismo. Perciò, che vinca il “Sì” o il “No”, questa contraddizione profonda non si risolverà con questo referendum ma resterà latente come elemento centrale della vita politica del Paese nei prossimi anni.
Se vince il “No”, il nostro prossimo passo dev'essere quello di approfondire la capacità organizzativa e propositiva del popolo.
Il Costa Rica ha bisogno di una profonda trasformazione economica, politica e sociale che equivale a una rifondazione del Paese. Ma la classe politica è corrotta e senza orizzonti, e per questo svende il Paese. Perciò questa rifondazione dev'essere promossa dalla società mobilitata. Ciò che abbiamo oggi è la “voglia di politica”, che anche se non basta da sola a creare questa trasformazione è un seme di iniziative, e forze popolari che nel lungo periodo possono incidere in modo effettivo e positivo nella costruzione del Paese a cui tutti e tutte aspiriamo.
1) Il Costa Rica è l'unico Paese dell'America Centrale a non aver ancora ratificato il Cafta. Como avete ottenuto questo risultato?
Nel gennaio del 2003, quando iniziarono i negoziati del Cafta, ci trovammo in parte già organizzati: l'anno precedente ci eravamo riuniti e avevamo prodotto materiale informativo sull'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e l'Area di libero commercio delle Americhe (Alca), perché il Costa Rica partecipava ai due negoziati.
Ci avvicinammo all'Alianza Social Continental e, con loro, iniziammo a documentarci su una tematica complessa come il libero commercio.
Da questo nucleo è nato il movimento cittadino anti-Cafta, che oggi si è esteso a tutta la società ed è presente in modo trasversale in tutte le classi sociali. In 5 anni abbiamo costruito la campagna casa per casa, quartiere per quartiere, sindacato per sindacato, scuola dopo scuola… quello che si chiama “un lavoro da formiche”, ossia un lavoro lento e apparentemente insignificante ma con un enorme potere sociale.
Inoltre, già nel 2003 organizzammo le prime due mobilitazioni contro il Cafta, a gennaio e poi a febbraio. Il movimento che vediamo oggi deve molto all'aver colto per tempo il tema e alla capacità di raccogliere progressivamente le organizzazioni popolari del Paese, le vere pioniere di questa lotta che oggi coinvolge politici, partiti, organizzazioni non governative, università pubbliche, personalità e moltissimi cittadini e cittadine che, pur non appartenendo a nessuna realtà organizzata, hanno compreso la necessità storica di mobilitarsi.
Un elemento che vorrei mettere in luce è la creatività del movimento per quel che riguarda la produzione di materiali e le forme di espressione, dal tradizionale “volantino” ai video (molti sono su YouTube, ndr), l'uso di internet (ci sono numerosi blog, ndr) e quello del teatro e della musica come strumenti del messaggio politico, la pressione sull'assemblea legislativa e altre istanze governative.
2) Qual è, a tuo avviso, l'aspetto più importante del movimento che si oppone al Trattato di libero commercio?
Senz'altro che, pur non esistendo un coordinamento unico tra queste realtà, c'è un obiettivo comune, e questo unisce molto più che le leadership, che di fatto sono molto diverse. Credo di poter affermare, infatti, che tutto il movimento sociale e popolare è schierato contro il Cafta. E che ciascuna organizzazione è importante come le altre, indipendentemente dalla sua misura, perché ognuna agisce a livelli diversi (da quelle in grado di farsi sentire sui mezzi di comunicazione a quelle che lavorano solo nel proprio quartiere). Da un lato ci sono sindacati importanti come quello dell'Instituto Costarricense de Electricidad e organizzazioni contadine come il Frente Agrario Campesino contra el Tlc, ma l'aspetto più significativo è senz'altro il sorgere di espressioni organizzative nuove, nei quartieri, nei cantoni, tra i giovani.
Sono realtà che rompono gli schemi organizzativi tradizionali, e questo costituisce una ricchezza politica fondamentale per questo movimento, perché lo rende molto flessibile e difficile da cooptare.
Ci sono alcune esperienza importanti di unità, tra i quali la Coordinadora Nacional de Lucha contra el Tlc, i coordinamenti regionali (che funzionano in modo autonomo). Esiste anche un Frente Nacional de Apoyo a la Lucha contra el Tlc, di cui fanno parte personalità accademiche e politiche. E anche alcuni partiti politici, come il Frente Amplio e Acción Ciudadana, hanno svolto un ruolo importante nell'invitare la cittadinanza a opporsi al Cafta. Ma la cosa più rilevante è senza dubbio che la società intera si è mobilitata, e questo fa sì che il “fuoco” della resistenza non siano le organizzazioni, diventate più che altro “vettori” della mobilitazione dal basso.
3) Prima di ratificare il Cafta, l'assemblea legislativa deve approvare 13 progetti di legge, parte inseparabile del Trattato di libero commercio. Che temi riguardano? È vero che alcuni di questi provvedimenti sarebbero incostituzionali?
Alcuni progetti di legge in discussione, la cosiddetta “agenda di implementazione del Cafta”, sono indispensabili affinché il Tlc abbia piena effettività giuridica. I più controversi sono quelli che riguardano il “rafforzamento” dell'Instituto Costarricense de Electricidad (Ice), che a dispetto del nome debilita la più efficiente azienda pubblica del Centro America, per renderla facile preda delle multinazionali (le spagnole Union Fenosa, Iberdrola e Endesa sono già presenti in tutta la regione, ndr), la legge sulla liberalizzazione delle assicurazioni e delle risorse idriche, l'approvazione di un accordo per la protezione dei brevetti sui vegetali (UPOV-91) e l'approvazione del Trattato di Budapest (ancora una misura relativa ai brevetti, ndr).
Per finire, un prestito di 220 milioni di dollari da parte della Banca interamericana di sviluppo (Bid), a cui si aggiungono 135 milioni di dollari di fondi pubblici, per sviluppare progetti come “sostegno alla competitività delle piccole e medie imprese, sviluppo dell'agricoltura e dell'allevamento sostenibili e rafforzamento dell'educazione rurale”, senza che esista alcun progetto concreto.
Un gruppo di lavoro formato da giuristi dell'Università del Costa Rica hanno analizzato il testo del Trattato, segnalando almeno 50 incostituzionalità. Nonostante questo, la Sala Constitucional della Corte suprema di giustizia, al servizio del Governo, ha dichiarato che il Trattato di libero commercio rispetta la Costituzione.
4) A ottobre il popolo del Costa Rica voterà “Sì” o “No” alla ratifica del Trattato. A livello mondiale è la prima volta la decisione riguardo a un accordo commerciale si dibatte in una consultazione popolare. Come siete arrivati a questa proposta?
Il movimento popolare non ha mai cercato il referendum, perché il nostro obiettivo è sempre stato che il testo del Cafta non fosse nemmeno discusso dall'assemblea legislativa.
L'idea di un referendum è stata lanciata lo scorso anno da un gruppo di cittadini guidati da José Miguel Corrales, ex deputato ed ex candidato alla presidenza del Partido de Liberación Nacional (lo stesso del presidente Oscar Arias). Dopo la marcia del 26 febbraio 2007, a cui hanno partecipato 250 mila persone, il Tribunale supremo elettorale accolse la richiesta di convocare una consultazione popolare e autorizzò il gruppo di Corrales a raccogliere le firme del 5 per cento degli elettori, che avrebbero reso effettiva la convocazione del referendum. A quel punto, il governo di Oscar Arias decise invece di convocare il referendum d'accordo con l'assemblea legislativa, presentandosi così come un Governo democratico che “ascolta la voce del popolo”.
È certo però che tutto il processo verso questo referendum è stato pieno di frodi e di arbitrarietà. Ad esempio, è palese che il Governo stia utilizzando i fondi che servono a finanziare i servizi pubblici e progetti sociali per “comprare” le comunità rurali, facendo pressioni perché votino per il “Sì”. La pubblicità stupida e ingannevole diffusa dal fronte governativo attraverso i mezzi di comunicazione confonde i cittadini, ai quali non sono mai offerti argomenti validi contro il “No”. Ricorrono, addirittura, al vecchio metodo maccartista della “minaccia comunista”.
Perciò, anche se è logico che agli occhi della comunità internazionale questo referendum appaia come un momento storico, non dobbiamo perdere di vista le criticità delle condizioni in cui verrà celebrato: il 99,7 per cento della pubblicità sugli organi d'informazione è comprata dal fronte del “Sì” (imprenditori, governo) e appena lo 0,3 per cento dal “No”.
La differenza è abissale, ma il Tribunale elettorale non si è preoccupato di garantire equità nell'accesso ai mezzi di comunicazione, nemmeno a quelli pubblici. Ciò non nega, però, l'importanza fondamentale della consultazione del 7 ottobre, e stiamo facendo tutto il possibile perché il “No” possa battere il “Sì” in maniere evidente.
5) Come vi siete organizzati per sensibilizzare la popolazione sui rischi del Cafta e per far sì che la maggioranza dei costaricani votino “No” al referendum?
Come ho spiegato prima, la nostra è un'organizzazione molto decentrata, basata sull'attivismo “di tutti i giorni”. In questo contesto, le attività educative sono fondamentali, e passano per la produzione e distribuzione (quasi sempre gratuita) di materiali e bandiere o adesivi, le visite alle comunità contadine e indigene, programmi alle radio, radio comunitarie, e attività artistiche.
L'articolazione politica c'è stata soprattutto negli spazi micro-sociali, ed è importante capire questo particolare.
C'è stato, però, anche uno sforzo enorme da parte di alcuni partiti politici rappresentanti nell'assemblea legislativa, come il Partido de Acción Ciudadana, il Partido Accessibilidad Sin Exclusiones e il Frente Amplio), per formare scrutatori e osservatori per il giorno del referendum.
Inoltre, molte organizzazioni stanno sostenendo economicamente la campagna per quanto riguarda i mezzi di trasporto, l'alimentazione e la stampa di materiali, per garantirci almeno di poter realizzare il nostro lavoro nella miglior maniera possibile.
6) Cosa accadrà in caso di vittoria del fronte del “No”? Quale pensi che possa essere la relazione della classe politica e, in particolare, del presidente Arias Sanches? Cosa ti aspetti dagli Stati Uniti d'America?
Se vince il “No”, sarà uno shock per gli Stati Uniti e per tutta la classe politica costaricana. Credo che non se lo aspettino e che siano pronti a commettere frodi elettorali per impedirlo. Nel caso perdessero, c'è la possibilità che non accettino il risultato, e che arrivi la repressione.
È difficile, ma possibile. Ciò che è certo, però, è che il Governo continuerà a far pressioni per la ratifica dell'“agenda d'implementazione”, che sarebbe una sorta di “Cafta senza il Cafta”. Gli Usa, invece, potrebbero imporre sanzioni commerciali, per dare una sorta di “castigo esemplare” e per avvertire gli altri Paesi sui rischi che corre che si oppone alla firma di un Trattato di libero commercio. Nell'ambito di questo castigo, credo potrebbero decidere di trasferire investimenti verso altri Paesi dell'area, come il Nicaragua o l'Honduras, per colpevolizzare la popolazione costaricana di un'eventuale perdita di posti di lavoro.
Lo scenario è difficile da prevedere, ma voglio evidenziare un aspetto essenziale: le contraddizioni del Cafta rivelano una situazione più complessa, profonda e strutturale in termini di critica al neoliberismo. Perciò, che vinca il “Sì” o il “No”, questa contraddizione profonda non si risolverà con questo referendum ma resterà latente come elemento centrale della vita politica del Paese nei prossimi anni.
Se vince il “No”, il nostro prossimo passo dev'essere quello di approfondire la capacità organizzativa e propositiva del popolo.
Il Costa Rica ha bisogno di una profonda trasformazione economica, politica e sociale che equivale a una rifondazione del Paese. Ma la classe politica è corrotta e senza orizzonti, e per questo svende il Paese. Perciò questa rifondazione dev'essere promossa dalla società mobilitata. Ciò che abbiamo oggi è la “voglia di politica”, che anche se non basta da sola a creare questa trasformazione è un seme di iniziative, e forze popolari che nel lungo periodo possono incidere in modo effettivo e positivo nella costruzione del Paese a cui tutti e tutte aspiriamo.
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