lunedì 27 agosto 2007

In Costa Rica un referendum popolare per dire "No" al Trattato di libero commercio (1)


Il 7 ottobre prossimo la popolazione del Costa Rica sarà chiamata a decidere, con un referendum, se ratificare o meno dell'accordo di libero scambio tra il proprio Paese e gli Stati Uniti d'America. Firmato nel 2005, il Cafta, Central America Free Trade Agreement, è già in vigore in tutti i Paesi centroamericani a eccezione del Costa Rica. Con il sostegno dell'ambasciata degli Stati Uniti d'America, il governo del presidente Arias Sanchez e il Tribunale supremo elettorale (Tse) portano avanti una campagna a favore del "Sì": tra le ultime decisioni del Tse, ad esempio, c'è quella di impedire alle università di divulgare informazioni sugli studi che evidenziano l'impatto economico e sociale negativo del Cafta. Intanto il movimento sindacale, contadino e studentesco si è fatto promotore di un'ampia piattaforma di opposizione al Trattato di libero commercio, il Movimiento Patriótico "NO AL TLC", sviluppando a livello locale una struttura organizzativa di comitati patriottici formati da migliaia di volontari.
Il fronte del "Sì" sventola come una bandiera il "mito delle preferenze": secondo il presidente, se non ratifica il Cafta il Costa Rica non potrà più commerciare con gli Usa. Ma l'unico settore che, con il Trattato di libero commercio, verrebbe favorito da una riduzione della tassazione è il tessile (meno 20 per cento), un vantaggio che si annulla in virtù delle regole di origine imposta dal Cafta (l'uso, cioè, di input provenienti dagli Usa o dagli altri Paese del Centro America, ridurrebbe in modo sostanziale questo vantaggio).
L'unica certezza è che, anche senza il Cafta, il Costa Rica è il maggiore esportatore dell'America Centrale. L'export è cresciuto del 17 per cento tra il 2005 e il 2006 (da 7 a 8,2 miliardi di dollari).
Il commercio con gli Stati Uniti, 3,4 miliardi di dollari nel 2006, rappresenta una fetta importante dell'export "tico" (il nomigonolo affibbiato ai costaricensi mentre i nicaraguensi sono "Nica" e gli honduregni "catrachos"), anche se negli ultimi sei anni l'Asia ha reigstrato una crescita del 370%, passando da 304,8 a 1.435,3 milioni di dollari).
L'89 per cento dei prodotti esportati dal Costa Rica verso gli Stati Uniti d'America già paga tariffe inferiori al 10% (ananas: 0,5 centesimi; succo: 7,8 centesimi per litro), e questo 89 per cento rappresenta il 94,4 per cento in termini di valore.
Nessun dato evidenzia, invece, le possibilità di sviluppo nell'ambito del Trattato di libero commercio "vendute" come certe da Arias Sanchez al Paese.
Nell'opposizione (l'ex candidato alla presidenza Otton Solis ha detto: "Dov'è scritto per questo ci aiuterà a svilupparci?"), ma anche nella sua maggioranza, si levano molte voci contrarie al Cafta. L'esempio delle altre repubbliche centroamericane a un anno dall'entrata in vigore del Trattato evidenzia bilance commerciali verso gli Usa in profondo rosso.
Il Messico, poi, a dodici anni dal Nafta (North America Free Trade Agreement) esporta per lo più manodopera a basso costo (500 mila migranti all'anno) e fonda la propria economia sulle rimesse che questi inviano ai proprio familiari (oltre 20 milioni di dollari l'anno). Il Costa Rica non ci sta.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Great work.